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Jack lo squartattore, ma soprattutto lo squartattrici

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Vi racconto il mio rapporto con Lars Von Trier attraverso 5 incidenti scelti a caso.
Perché?
Perché è ciò che fa il protagonista del suo ultimo film, La casa di Jack - The House That Jack Built, parlando delle sue vittime. Non che consideri voi le mie vittime ma, insomma dai, ci siamo capiti, no?



INCIDENTE 1

La prima volta non si scorda mai. Soprattutto la prima volta con il cinema di Lars von Trier. Se non l'hai amato subito, difficilmente dopo cambierai idea. Per me è stato amore a prima vista. Sono stato letteralmente travolto da Le onde del destino. Lo consideravo uno dei film più devastanti che avessi mai visto, e ancora oggi la penso allo stesso modo. Ho adorato quel (capo)lavoro, e allora perché lo considero un incidente?

C'è un retroscena particolare. All'epoca, era la seconda metà degli anni '90, alcune pubblicazioni come Panorama vendevano i film in VHS insieme alla rivista e quindi l'edicola aveva anche la funzione di una specie di seconda videoteca. Si da il caso che mio papà ai tempi, prima di andare in pensione, aveva un'edicola e quindi io mi guardavo un sacco di film a sbafo. Tra questi c'è stato anche Le onde del destino. Mio padre mi ha portato a casa, dietro mia richiesta, la videocassetta di questo presunto capolavoro danese di cui tutti negli ambienti radical-chic parlavano e che ero molto curioso di guardare. Ho così messo su la VHS e mi sono goduto questo splendido film in bianco e nero...


Soltanto diversi mesi più tardi ho scoperto che il film in realtà non era stato affatto girato in bianco e nero. Mi ero beccato una videocassetta fallata. Quando poi l'ho riguardato a colori mi è comunque piaciuto, però devo dire che in b/n possedeva un fascino ulteriore, che il “buon” Lars non aveva messo in preventivo.



INCIDENTE 2

Il mio secondo impatto/incidente con il cinema di Lars von Trier non è stato con il suo cinema, ma con una miniserie TV da lui creata, scritta e diretta: The Kingdom - Il regno. Una specie di Twin Peaks vontrieriano ambientato in un ospedale.


Ai tempi, eravamo sempre negli anni '90, ci tengo a precisare che non era così figo o comune come oggi per un regista cinematografico avventurarsi in una produzione TV. Ai tempi, inoltre, il termine binge-watching non esisteva ed era lungi dall'essere creato, eppure io ebbi un'esperienza di binge-watching ante litteram. Approfittando del fatto che ero a casa da scuola con la febbre, decisi di guardarmi l'intera miniserie, composta da 8 episodi, per una durata totale di 280 minuti in un colpo solo. Pure questo lavoro di von Trier l'ho apprezzato, però ammetto che è stata un'esperienza fisicamente e mentalmente devastante. E, non so se più per la febbre o per la serie, si è rivelata anche un'esperienza delirante. È forse per questo che ancora oggi, in tempi in cui se non ti guardi una serie in binge-watching sei uno sfigato, resto sempre un po' refrattario a immergermi in una maratona televisiva all day o all night long.


INCIDENTE 3

L'incidente numero 3 riguarda Dogville. Dopo essere uscito molto provato dalla visione di The Kingdom - Il regno e pure da quella del non certo allegro musicarello con Björk Dancer in the Dark, decisi di prendermi una pausa da Lars von Trier. Non perché non lo amassi più, ma perché lo amavo troppo. Le sue opere mi sconvolgevano a livelli cui gli altri registi non si avvicinavano manco lontanamente. Per il bene della mia salute mentale, rimandai così la visione di Dogville. Prima di qualche mese, poi di qualche anno. Alla fine, credo con circa una decina d'anni di ritardo rispetto alla sua uscita originale nel 2003, l'ho guardato. Finalmente. E sì, l'ho adorato. Oops!... Lars did it again.

"E' stato divertente girare un film con Lars von Trier.
Non mi avvicinerò mai più a lui finché avrò vita, ma è stato divertente."


INCIDENTE 4

L'incidente numero 4 è il famoso, o meglio il famigerato episodio successo al Festival di Cannes 2011. Quella volta in cui, durante la conferenza stampa di presentazione di Melancholia, a Lars scappò di dire: “I understand Hitler”. Per la precisione dichiarò: “Cosa posso dire? Capisco Hitler. Ha fatto molte cose sbagliate, assolutamente, ma posso immaginarmelo seduto nel suo bunker, alla fine... mi immedesimo, sì, un po'”. Le sue discutibili parole lo portarono a un'espulsione dal Festival come “persona non grata”. In seguito quel simpaticone di danese chiarì che si trattava di uno scherzo fatto ai giornalisti e al Festival di Cannes 2018 è stato riabilitato, ma all'epoca eravamo stati in pochi a prendere le sue difese. D'altra parte, mi rendo conto che per le persone normali forse non è proprio facile capire un umorismo malato del genere.



INCIDENTE 5

Il quinto incidente riguarda il suo ultimo film, La casa di Jack - The House That Jack Built, quello annunciato come il film di Lars von Trier su Jack lo squartatore. Peccato che, a ben vedere, non è un film su Jack lo squartatore. Ok, il protagonista è un pazzo serial killer di nome Jack, però i punti di contatto con il misterioso assassino seriale attivo alla fine del 1800 finiscono qui. Un incidente, ma più che altro un misunderstanding, che comunque non ha compromesso la visione della pellicola...

La casa di Jack
Titolo originale: The House That Jack Built
Regia: Lars von Trier
Cast: Matt Dillon, Uma Thurman, Riley Keough, Siobhan Fallon Hogan, Sofie Gråbøl, Jeremy Davies, Bruno Ganz (R.I.P.)


Il Jack di von Trier è interpretato da un Matt Dillon strepitoso e degno di una nomination agli Oscar, e lo dico pur non essendo mai stato un suo enorme fan. Riesce a essere inquietante e allo stesso tempo quasi divertente, come soltanto a Christian Bale in American Psycho riusciva. Capisco che un regista controverso come Lars von Trier sia boicottato dall'Academy e da tutti i premi cinematografici di questo mondo, però non prendere in considerazione la pazzesca performance di Dillon in questo film è stato un vero crimine. Considerando che non hanno nominato manco l'altrove premiatissimo Marcello Fonte di Dogman, non c'è comunque nemmeno da stupirsi troppo.


Questo Jack, più che una versione di Jack lo squartatore aggiornata agli anni '70, periodo in cui è ambientato il film, è un collage di serial killer e psicopatici assortiti. Credo che Lars ci abbia messo dentro anche un pizzico di se stesso. Forse anche qualcosa in più di un pizzico. The House That Jack Built potrebbe persino essere il film più autobiografico girato dal regista danese. Potrebbe magari essere una confessione. Un'auto denuncia. Tanto chi ci crede? Tanto a chi importa?
Come la scena con protagonista un'urlante Riley Keough in versione Scream Queen mette bene in mostra, alla gente non frega niente di niente e di nessuno.


Autobiografico o (più probabilmente) non autobiografico che sia, in La casa di Jack c'è dentro molto di von Trier. C'è dentro tutto von Trier. Il suo cinema. La sua cattiveria. La sua (presunta) misoginia. La sua (probabile) misantropia. Il suo senso dell'umorismo che da Il grande capo è emerso sempre più con prepotenza, anche se non sempre è facile da notare all'interno delle sue (in apparenza?) deprimenti pellicole e qualcuno potrebbe non trovarlo poi così divertente. C'è anche dell'autoironia. C'è anche un autocitazionismo estremo. Qualcuno potrebbe persino parlare di autentico segone fattosi da Lars per puro godimento personale. C'è un fregarsene di tutto e di tutti ancora più estremo che in passato. Eppure per almeno ¾ questo può essere considerato il suo film più “commerciale”. Un thriller-horror su uno psicopatico che può essere guardato e apprezzato tranquillamente dal pubblico di serie come Dexter e Manhunter, e forse pure di CSI e Criminal Minds. Peccato solo che in Italia stiano facendo di tutto per boicottarlo, con divieti ai minori e censure degni di un regime. E poi il nazista sarebbe lui.


Proprio quando cominci a pensare che Lars per una volta abbia realizzato un film sì perfido di quelli come solo lui e pochi altri (tipo Michael Haneke o Yorgos Lanthimos, per dire) si possono permettere, però molto in linea con il suo stile, ad esempio con la suddivisione in capitoli e con l'uso in colonna sonora di David Bowie e musica classica. Sembrano non esserci enormi sorprese, almeno per chi conosce la sua filmografia, quand'ecco che nella parte finale ti spiazza ancora e ancora e ancora. Prima con il citato autocitazionismo che fa raggiungere al suo cinema nuovi vertici comici – volontari, meglio specificare –. Quindi con un assaggio di violenza e perversione estrema da far apparire al confronto un film come The Human Centipede roba per educande. E infine con un'inaspettata chiusura epica e dalle atmosfere dantesche, capace di farti esclamare: “Anche questa volta sei riuscito di nuovo a farti amare e odiare allo stesso modo e allo stesso tempo, diavolo d'un von Trier!”.
(voto 8/10)




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