Chi non si è mai sentito almeno una volta nella vita come Fantozzi?
C'è chi vuole una vita spericolata, una vita come quelle dei film. C'è chi sogna di diventare un supereroe. C'è chi vorrebbe mettersi a ballare e a cantare in mezzo alla strada come se abitasse a La La Land. C'è chi desidera avere il coraggio di Rambo, la battuta pronta di John McClane, un grande e tormentato amore come quello di Jack e Rose in Titanic, il fascino di Michael Fassbender o di Alicia Vikander. C'è poi chi, come me, si "accontenterebbe" di essere come Joseph Gordon-Levitt in Don Jon.
La verità e che spesso e (mal)volentieri, le nostre vite sono parecchio differenti da quelle delle pellicole hollywoodiane e finiscono per somigliare più tragicomicamente a quelle di una serie cinematografica tutta italiana, quella di Fantozzi. La nostra quotidianità è formata da una valanga di piccole sconfitte, soprusi, ingiustizie, di “mainagioia” che in molti giorni ci fanno sentire come sotto a una nuvola che ci segue ovunque andiamo.
Anche i Fantozzi possono però avere il loro momento di gloria, una gioia una volta tanto. Per quanto fugace possa essere. È quanto capita al mitico ragionere ne Il secondo tragico Fantozzi, nella sequenza ambientata durante il cineforum aziendale e la proiezione del fittizio, ma non troppo, classico sovietico La corazzata Kotiomkin. Una delle scene più belle nell'intera Storia del Cinema. Una sequenza ancora divertente alla milionesima visione, ma pure clamorosamente potente a livello emotivo.
“Per me... La corazzata Kotiomkin... è una cagata pazzesca!” è una frase che io, e credo tutti noi, abbiamo ripetuto in almeno un'occasione, nella nostra variante personale. Io in questi anni di blogging l'ho fatta mia varie volte, parlando ad esempio di Avatar o di Cloud Atlas. Può però essere applicata anche ad altri campi e non solo a quello cinematografico. Questa frase di Fantozzi è un inno universale alla ribellione e alla libertà di pensiero. È la demolizione del politically correct. È un liberatorio “Vaffanculo!” gridato in faccia a chi crede di saperla più lunga di noi. A chi ci considera delle merdacce. È un breve attimo di rivincita, di riscatto all'interno di una vita fantozziana piena di delusioni. Grazie Paolo Villaggio per avercelo regalato.