Da qualche giorno su Netflix Italia è arrivato Dawson's Creek. Quando una cosa arriva su Netflix, diventa disponibile per un pubblico che altrimenti non l'avrebbe mai vista. Che probabilmente non ne avrebbe mai nemmeno conosciuto l'esistenza. Sono curioso di scoprire come verrà recepita dalle nuove generazioni quella che più di ogni altro ha rappresentato la serie della mia adolescenza. Se Beverly Hills 90210 è stato il primo telefilm che ho seguito da malato seriale, ai tempi ero però ancora un bambinetto. I miei anni da teen hanno più che altro coinciso con quelli di Dawson e compagni. Non di James Van Der Beek nella vita reale, che è mooolto più vecchio di me, oltre che del personaggio di Dawson Leery.
C'è una cosa che sta facendo discutere e per una volta giustamente, perché è davvero scandalosa. Dawson's Creek su Netflix è proposto senza la sua storica sigla, “I Don't Want to Wait” di Paula Cole, meglio conosciuta come ANOUONAUEI.
Per una questione di diritti, tale canzone non può essere usata. Per sbloccare la situazione, date a Paula Cole qualsiasi cosa voglia. Riempitela di soldi. O proponetele un'uscita con Joshua Jackson. Anche se potrebbe essere immune al fascino di Pacey, visto che, a quanto pare, Paula Cole in tutti questi anni non ha mai visto manco un episodio di Dawson's Creek. Una cosa shockante. Come se l'inventore della pizza non avesse mai mangiato una pizza in vita sua.
Qua sopra non ho usato la celebre GIF “First reaction: shock” di Matteo Renzi per una questione di diritti d'autore. Per lo stesso motivo, questo sarà anche il primo post su Dawson's Creek nella storia dell'umanità a non contenere la famosa GIF di Dawson che piange. Al suo posto vi dovete accontentare di questa versione tarocca.
La sigla utilizzata da Netflix è così Run Like Mad di Jann Arden, brano composto apposta per la serie, che in realtà era la sigla originaria della prima stagione.
Lo so, è una merda. Infatti poi è stata soppiantata da ANOUONAUEI, che è diventata il tratto distintivo della serie. Vederla senza è come mangiare i Fonzies senza leccarsi le dita: godi solo a metà. Le nuove generazioni quindi già solo per questo non potranno mai comprendere davvero cos'è stato Dawson's Creek. Anche a livello di contenuti rischia di essere parecchio ridimensionato. Già all'epoca appariva come una serie piuttosto innocente e naive, eppure proponeva alcune scelte narrative tutt'altro che scontate per i tempi. Come il coming out di un personaggio. No, non Dawson. Solo perché è tanto sensibile e piange come una femminuccia, non significa mica che sia gay. Mi riferisco invece a Jack McPhee. Nelle serie di oggi, persino in molte fiction italiane, è presente almeno un personaggio gay. Allora, nei lontani 90s, non era così.
Con sua sorella, Andie McPhee, veniva invece affrontato il tema delle malattie mentali. Pure questo un argomento negli ultimi tempi sdoganato, ma oltre due decenni fa c'era ancora un notevole stigma sociale nell'affrontarlo.
Potrebbe non sembrare e invece Dawson's Creek per certi versi era molto avanti. Dawson's Creek ha rappresentato una tappa fondamentale della mia crescita, come spettatore TV e in generale come persona. Credo di avere un pizzico di ognuno dei suoi personaggi in me. Diciamo che credo di aver preso il peggio da ognuno di loro.
La mania ossessiva di Dawson per il cinema (ma io se non altro non sono un fan di Steven Spielberg).
L'atteggiamento da scontrosa misantropa, oltre che da persona “sotuttoio”, tipica di Joey.
La sindrome da pecora nera e da perseguito da un destino avverso di Pacey.
L'atteggiamento da ribelle senza motivo di Jen.
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"Io una ragione per ribellarmi ce l'avevo: una vecchia bigotta come nonna". "Oh, andiamo Jen. Lo sanno tutti che prima della fine della serie ho visto più peni io di te." |
L'insicurezza e la fragilità di Jack.
La follia di Andie.
Il peggio da tutti loro. È questo che mi ha lasciato in eredità questa serie. Una vera e propria lezione di vita. Forse più negativa che positiva, ma non stiamo a guardare il pelo nel Dawson.