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IL VILLAGGIO DEI DANNATI BIMBIMINKIA

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Il villaggio dei dannati
(UK 1960)
Titolo originale: Village of the Damned
Regia: Wolf Rilla
Sceneggiatura: Stirling Silliphant, Wolf Rilla, Ronald Kinnoch
Ispirato al romanzo: I figli dell'invasione di John Wyndham
Cast: George Sanders, Barbara Shelley, Martin Stephens, Laurence Naismith, Michael Gwynn
Genere: retrò sci-fi
Se ti piace guarda anche: The Leftovers, Under the Dome, FlashForward, The Village

Il villaggio dei dannati è un film avantissimo? Oppure Il villaggio dei dannati è un film che mostra tutti i suoi (parecchi) anni?
La dannata risposta è: tutt'e due le cose.

Il villaggio dei dannati per certi versi è un film troppo avanti, raga, perché parte da uno spunto che andrebbe bene per una serie tv ammeregana di oggi, un po' The Leftovers, un po' Under the Dome e un po' FlashForward come appare.
In un villaggio inglese un bel giorno, anzi un brutto giorno, l'intera popolazione finisce a terra svenuta per alcune ore. Non si sa perché. Qualche settimana dopo, tutte le donne fertili del villaggio sono in dolce attesa. Persino le vergini. Gesù, Giuseppe e Maria, ma cosa diamine è successo in quel paesino durante quelle ore di blackout totale di cui nessuno ricorda niente? È arrivato Rocco Siffredi? E come saranno, i bambini nati da una circostanza simile?

"Sono rimasta incinta persino io che non trombavo dalla fine della guerra mondiale...
la prima."

Già solo da questa idea di partenza, oggi in quel di Hollywood avrebbero tirato fuori minimo una saga di 10 film, oppure una serie tv della durata di almeno 6 o 7 stagioni. In Inghilterra invece le cose le fanno più in fretta, si vedano le loro serie televisive che di solito durano appena una manciata di episodi. In più all'epoca dell'uscita del film, nel 1960, la macchina cinematografica era già ben avviata, ma non c'era ancora l'esasperazione nello spremere un'idea fino allo sfinimento. È vero che nel 1963 è stato realizzato un sequel della pellicola, La stirpe dei dannati, però oggi avrebbero tirato le cose più alla lunga. Mooolto più alla lunga. Il villaggio dei dannati invece in appena 1 ora e un quarto risolve tutto. Ciò sarebbe un bene. Piuttosto che vedere una saga young adult fantasy in cui per sapere come vanno a finire le cose devi aspettare almeno 10 anni e vedere gli attori trasformarsi da bimbetti a divi di mezza età, meglio sapere ogni cosa subito. Però, c'è un però.
Sarà che ormai sono abituato a vedere le idee sviluppate con più calma, in alcuni casi persino eccessiva, però qui di contro si rivolve tutto troppo in fretta, con un finale – diciamolo – piuttosto campato per aria. Il film ti mette lì davanti tante tematiche sociali, politiche ed esistenziali, e poi non le sviluppa quasi per niente. L'approfondimento psicologico dei personaggi, inoltre, dov'è?

Il villaggio dei dannati mostra tutti i suoi anni e lo fa in positivo, perché non sta a menar troppo il can per l'aia, e in negativo, perché è eccessivamente sbrigativo. Per una volta, avrei preferito vedere un'intera saga tratta da uno spunto tanto affascinante e dal potenziale ricchissimo. Una saga con protagonisti questi bimbiminkia, tra i più inquietanti nella Storia del Cinema. E sì che negli anni di bimbetti inquietanti ne abbiamo visti parecchi, da The Ring a Orphan passando per Il sesto senso e (spaventosa) compagnia varia.

"Siamo dei così bravi bambini..."
"...forse."



Invece niente. Bisogna accontentarsi di 75 striminziti minuti, che al giorno d'oggi paiono giusto un pilot. Un assaggino. Una premessa per qualcosa di più. Avendomi lasciato così, soddisfatto perché la storia è molto intrigante, e insoddisfatto perché ne avrei voluto ancora, a questo punto mi toccherà recuperare il remake del 1995 Villaggio dei dannati diretto da un certo John Carpenter.
Comunque non va bene. Così non si fa. Quando uno non vuole una saga, come nel caso del pessimo Maze Runner - Il labirinto, te la danno. Quando invece uno la vuole, come in questo caso, ti danno solo una pellicola brevissima. Dannato mondo del cinema, di oggi così come di ieri!
(voto 7-/10)

I DISCORSI DEGLI OSCAR CHE AVREMMO DOVUTO SENTIRE

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Quest'oggi, sui blog cinematografici di tutto il mondo o per lo meno di tutta Italia si parla dei più grossi scandali commessi dall'Academy nel corso della sua storia.
Quali sono stati i più clamorosi errori? Quali sono stati gli Oscar più scandalosi mai assegnati?
Ognuno tra i blogger partecipanti ha fatto la sua scelta e potete leggerle cliccando sui loro nomi qui sotto.



Per quanto mi riguarda, dopo un'edizione 2015 degli Oscar straordinariamente soddisfacente che ha davvero premiato il film migliore dell'anno ovvero l'immenso Birdman, sono andato indietro non di molto, al 2011, quando in maniera vergognosa il modestissimo e noiosissimo Il discorso del re ha battuto pellicole ben più valide come Il cigno nero, The Social Network, Inception e Un gelido inverno.
Un anno incredibile per il cinema americano e i solitamente patriottici americani che fanno? Vanno a premiare un film inglese?
Un pessimo film inglese?
Ma allora questi son scemi!
Io ho così provato a rendere giustizia agli sconfitti, provando a immaginare il discorso di ringraziamento che avrebbero fatto se fossero stati loro a vincere, anziché il balbettante Colin Firth de Il discorso del re.

Ecco i discorsi non del re ma degli Oscar che avremmo dovuto sentire se l'Academy avesse compiuto delle scelte differenti, in quel disgraziato 2011.

E se avesse vinto...
Il cigno nero

Ritira l'Oscar Natalie Portman:
“Grazie, grazie, siete tutti meravigliosi. Per ringraziarvi come si deve mi vi farei tutti. Tutti e tutte. Ciaaao Vincent Cassel, anzi bonsoir, sono proprio curiosa di vedere se è vero ciò che dicono su di voi francesi...”
PAUSA A EFFETTO
“No, non mi riferisco ai french kiss. Parlo del fatto che dicono che voi francesi siete tutti gay.”
RISATE DEL PUBBLICO
“Ciao Mila, bella maiala, quanto mi ti farei pure te...”
PAUSA A EFFETTO
“Oops, mi sa che mi ti sono già fatta. E pure alla grande.”
RISATE DEL PUBBLICO E STANDING OVATION


E se avesse vinto...
The Social Network
"Hey tu, mi ricordi qualcuno..."
"Ah sì? Anche tu."

Ritira l'Oscar Mark Zuckerberg:
“Grazie per questo Oscar. Adesso mi faccio un Selfie in cui sono qui sul palco, la posto subito sul mio fichissimo profilo Facebook e voglio che tutti clickiate su “mi piace” immediatamente.”
APPLAUSI DEL PUBBLICO
“No, non applaudite, stupidi attorucoli senza cervello. Usate le vostre mani per clickare like sui vostri cellulari, forza! Ce la fate, oppure senza un copione davanti non siete in grado di combinare nulla?”


E se avesse vinto....
Inception

Ritira l'Oscar Christopher Nolan:
“Vorrei ringraziare la mia mente geniale che mi ha fatto venire in mente l'idea geniale per questo film geniale, ovvero quella che un'idea installata nella mia mente geniale possa dare vita a un film ancora più geniale che voi umani non riuscireste mai a immaginare nemmeno nei vostri sogni più fantasiosi. Avete capito? O per voi stupide menti semplici i miei discorsi geniali sono troppo complicati proprio come i miei film geniali?

Hey, perché nessuno mi applaude? Dove state andando tutti?”


E se avesse vinto...
Un gelido inverno

Ritira l'Oscar Jennifer Lawrence

Jennifer?

Jeeennifer???


Oh no, Jennifer Lawrence è caduta sulle scale e non ce l'ha fatta ad arrivare sul palco. La stanno portando via in barella. Al suo posto ritira il premio...
No, Colin Firth, tu pussa via!

"Alla fine ha vinto Il discorso del re...
Mi viene da piangere!"

L'ETRANGE COULEUR DES LARMES DE TON CORPS: SE NON AVETE CAPITO IL TITOLO, FIGURIAMOCI IL FILM

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L'étrange couleur des larmes de ton corps
(Belgio, Francia, Lussemburgo 2013)
Titolo inglese: The Strange Color of Your Body's Tears
Regia: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Sceneggiatura: Hélène Cattet, Bruno Forzani
Cast: Klaus Tange, Joe Koener, Birgit Yew, Ursula Bedena, Hans De Munter, Anna D'Annunzio
Genere: delirante
Se ti piace guarda anche: Strade perdute, Mulholland Drive, Amer

Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate.
Il cinema della coppia di registi belgi Hélène Cattet e Bruno Forzani è come un viaggio all'Inferno. Un incubo a occhi aperti che rappresenta anche un sogno cinematografico bellissimo. Dopo Amer, ho deciso di addentrarmi pure nella loro seconda fatica e il viaggio è stato altettanto affascinante e straniante.
L'étrange couleur des larmes de ton corps è un film pazzesco sotto tutti i punti di vista. Per regia, montaggio e uso del sonoro è qualcosa di clamoroso. La vicenda che racconta, quella di un uomo che cerca la moglie sparita nel nulla, è di per sè piuttosto semplice. Solo che i due diabolici registi ce la mettono tutta pur di confondere le idee, depistare, inserire digressioni, visioni, deliri vari e alla fine non si capisce più niente.


La pellicola è piena di donne, donne nude, e ciò è un bene. Solo, è difficile capire chi sia la moglie del protagonista, chi sia Dora (Dora Lange di True Detective?), chi sia Laura (Laura Palmer? Laura Pausini? Laura non c'è, è andata via, Laura non è più cosa mia?).
All'inizio riesci ancora a seguire il filo del discorso, a stare dietro alla folle messa in scena della coppia di registi e ti senti quasi intelligente. A un certo punto però il tuo cervello entra in crisi, se la dà a gambe via dal tuo corpo insieme alla gambe e tu non ci capisci più una fava. Come quando sei al 90% di un cruciverba della Settimana Enigmistica e sei convinto di riuscire per una volta a finirlo e poi invece le ultime definizioni non ti vengono proprio in mente. L'étrange couleur des larmes de ton corps è un cruciverba difficilissimo che non si riesce a risolvere del tutto. A meno che tu non sia uno dei due registi e poi ancora. Probabilmente nemmeno loro due presi da soli riuscirebbero a spiegarti la loro pellicola per intero. Solo l'unione dei loro due cervelli potrebbe portare alla soluzione dell'enigma.


L'étrange couleur des larmes de ton corps è un incubo a occhi aperti, dicevamo, che porta dalle parti del cinema di Lynch, Strade perdute e Mulholland Drive in particolare, e allo stesso tempo ci scaraventa indietro negli anni '70. Hélène Cattet e Bruno Forzani hanno realizzato un'opera psichedelica che ancora una volta, come già successo con Amer, guarda ai vecchi thriller-horror italiani di quel decennio, si veda anzi si senta l'uso della colonna sonora, con brani di Ennio Morricone, Riz Ortolani e Bruno Nicolai del periodo.
A tratti sembra quasi che i due autori godano nel violentare il cervello, incasinando la vicenda, e le orecchie dello spettatore, con effetti sonori fastidiosi come il suono irritantissimo di un citofono. Hélène Cattet e Bruno Forzani sono quindi dei sadici bastardoni?
Sì, ma sono anche dei fenomeni registici assoluti dal talento visivo finissimo. E così, mentre fanno di tutto per infastidire lo spettatore, allo stesso tempo lo deliziano con delle sequenze impressionanti, con riprese e trovate di montaggio favolose, proponendo una pellicola in cui l'unico effetto speciale è la loro regia.


Piacere e dolore. L'étrange couleur des larmes de ton corps è un film per sadomasochisti. No, niente a che vedere con Cinquanta sfumature di grigio. Se solo i due autori riuscissero a coniugare le loro enormi capacità visuali con una volontà comunicativa giusto un filino maggiore, i loro lavori potrebbero fare il salto e diventare dei veri capolavori. Questo L'étrange couleur des larmes de ton corps non sposta troppo i confini del loro cinema rispetto a quanto mostrato in Amer ed entrambe le pellicole risultano delle prove generali di grandezza. Due pellicole frustranti e affascinanti come poche altre in circolazione. A mancare è un reale coinvolgimento emotivo nei confronti dei personaggi. Se i due registi in futuro riusciranno a parlare anche al cuore dello spettatore, anziché solo ai suoi occhi, allora non li potrà fermare più nessuno. In ogni caso, sarà sempre un piacere seguire i loro futuri trip cinematografici. Un piacere e un dolore.
(voto 7-/10)

I (QUASI) CULT DI PENSIERI CANNIBALI - FUSI DI TESTA

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Fusi di testa
(USA 1992)
Titolo originale: Wayne's World
Regia: Penelope Shpeeris
Sceneggiatura: Mike Myers, Bonnie Turner, Terry Turner
Cast: Mike Myers, Dana Carvey, Tia Carrere, Rob Lowe, Lara Flynn Boyle, Lee Tergesen, Mike Hagerty, Alice Cooper, Robert Patrick, Meat Loaf, Ed O'Neill
Genere: buddy idiot movie
Se ti piace guarda anche: Beavis and Butt-head, Scemo & più scemo, Fatti, strafatti e strafighe, American Trip, Tenacious D e il destino del rock, School of Rock, Austin Powers

Benvenuti nel Cannibal's World. Oggi vi voglio parlare di una pellicola che tutti voi già conoscerete se siete stati adolescenti negli anni '90, o di cui probabilmente e bellamente ignorerete l'esistenza se invece siete cresciuti in un'altra epoca, sia anteriore che posteriore. Ho detto posteriore, ahahah.
Sto parlando di Fusi di testa, titolo originale Wayne's World, un film con due protagonisti che sembrano Beavis and Butt-head. Una cosa che mi sono sempre chiesto è se siano nati prima Wayne (Mike Myers) e Garth (Dana Carvey) di Fusi di testa, oppure i due personaggi di Mtv. Una domanda paragonabile a quella: “È nato prima l'uovo o la gallina?”. Andando a guardare le date, Fusi di testa è uscito nei cinema nel 1992, ovvero prima dell'arrivo di Beavis and Butt-head sul piccolo schermo nel 1993. Il cartone animato di Mtv è però stato sviluppato a partire da un cortometraggio di Mike Judge anch'esso del 1992, quindi la domanda su chi sia nato prima resta valida.


Qualunque sia la risposta a questo amletico dilemma, entrambe le coppie di folli personaggi metallari e che passano le loro giornate su un divano hanno comunque come fratelli maggiori Bill & Ted, alias Keanu Reeves e Alex Winter, i protagonisti di Bill & Ted's Excellent Adventure, leggendario cult movie adolescenziale americano del 1989 di cui in Italia è arrivato solo il seguito, Bill & Ted's Bogus Journey, uscito dalle nostre parti con il titolo di Un mitico viaggio. Una pellicola colpevolmente ignorata nello Stivale, ma che ha generato un intero filone della commedia americana più goliardica, la variante idiota dei buddy movies, ovvero film costruiti sull'amicizia tra due tipi sull'idiota andante e che in seguito avrebbe trovato altri rappresentanti di successo con Scemo & più scemo, Fatti, strafatti e strafighe e American Trip.


Originali o meno che siano, i due protagonisti di Fusi di testa Wayne e Garth sono usciti dalla testa geniale di Mike Myers, che qualche anno più tardi avrebbe tirato fuori anche la spassosa parodia di James Bond, lo scopadelico Austin Powers, e già qui offre un'anticipazione delle sue faccette e dei suoi versi tipici. Se c'è una cosa che mi piace di Mike Myers è però un'altra: la sua capacità di inventare dei personaggi davvero fulminati ed esilaranti e soprattutto di creare un linguaggio caratteristico. Così come nella serie tv Sons of Anarchy, o in pellicole come Mean Girls, Ragazze a Beverly Hills e questo Fusi di testa, la differenza rispetto a un prodotto normale è fatta dalla scelta delle parole, perché le parole sono importanti. In Fusi di testa abbiamo delle espressioni ricorrenti come “Geniale” o “Godi forte” o “Schifus”, capaci di trasformare una commedia ordinaria in un autentico cult generazionale dotato dei propri tormentoni. Ad aiutare a raggiungere tale scopo vi è poi la presenza di alcune scene memorabili, come l'interpretazione in auto di “Bohemian Rhapsody” dei Queen, o l'apparizione della figa di turno Tia Carrere sulle note di “Dream Weaver” di Gary Wright.



Fusi di testa è una pellicola che a suo modo rappresenta perfettamente il passaggio dagli anni '80 ai '90. I due protagonisti sono due patiti del trash metal del vecchio decennio, eppure nel loro comportamento menefreghista e punk possiamo vedere i primi riflessi della generazione grunge sbocciata proprio nel periodo della sua uscita. Fusi di testa è un film che a distanza di due decadi mostra le rughe del tempo passato e tutti i suoi limiti, soprattutto quelli di una regia piatta e di una sceneggiatura davvero esile, eppure resta a suo modo mitico. O meglio, come direbbe Wayne, geniale.
Adesso vi saluto. Buona notte e godete forte!
(voto 7/10)


Fusi di testa 2 - Waynestock
(USA 1993)
Titolo originale: Wayne's World 2
Regia: Stephen Surjik
Sceneggiatura: Mike Myers, Bonnie Turner, Terry Turner
Cast: Mike Myers, Dana Carvey, Tia Carrere, Christopher Walken, Chris Farley, Heather Locklear, Steven Tyler, Joe Perry, Robert Smigel, Bob Odenkirk, Kim Basinger
Genere: buddy idiot sequel
Se ti piace guarda anche: leggi sopra

Hey, un momento. Dove state scappando?
Non è mica finita qui, anche se poteva sembrare. Spendiamo due parole pure sul sequel, a dirla tutta parecchio evitabile. Fusi di testa 2 - Waynestock altro non è che una replica piuttosto stanca delle scene e delle frasi tormentone del primo capitolo. Il tutto in tono minore, come spesso capita nei sequel senza idee tirati fuori giusto per capitalizzare il successo della pellicola originale. Non che il precedente episodio presentasse una sceneggiatura particolarmente elaborata, ma la trama di questo secondo capitolo, che vede i due geniali protagonisti impegnati a organizzare un concertone rock in stile Woodstock/Lollapalooza, è davvero giusto un pretesto.
Tutte le situazioni sanno poi inevitabilmente di déjà vu. Gli Aerosmith prendono il posto di Alice Cooper, Kim Basinger è la nuova figa di turno che si affianca alla confermata Tia Carrere, il cattivone fetentone in scena è Christopher Walken anziché Rob Lowe, mentre per il resto resta tutto uguale, senza nemmeno portare il discorso di replica alle estreme conseguenze come ad esempio è capitato di recente con 22 Jump Street. Pare tutto uguale, solo che a mancare è l'alone di cult del primo capitolo. A mancare è il divertimento. A mancare è la componente geniale. Il consiglio è quindi di recuperarvi Fusi di testa e snobbare alla grande il seguito.
Ora vi saluto veramente. Buona notte e godete sempre forte!
(voto 5/10)

CINQUANTA SFUMATURE DI GIGIO

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Cinquanta sfumature di grigio
(USA 2015)
Titolo originale: Fifty Shades of Grey
Regia: Sam Taylor-Johnson
Sceneggiatura: Kelly Marcel
Tratto dal romanzo: Cinquanta sfumature di grigio di E.L. James
Cast: Dakota Johnson, Jamie Dornan, Eloise Mumford, Victor Rasuk, Luke Grimes, Marcia Gay Harden, Jennifer Ehle, Rita Ora
Genere: romcom S&M
Se ti piace guarda anche: Secretary, Cruel Intentions, Pretty Woman, American Psycho, Nymphomaniac

La prima cosa che ho da dire dopo aver visto Cinquanta sfumature di grigio è: E.L. James è un genio. O meglio una genia. Questa donna ha preso Twilight, una delle serie letterarie di maggior successo commerciale oltre che una delle più grandi porcate degli ultimi anni, ha sostituito il sensibile vampiro vegano Edward Cullen con un miliardario dalle vaghe tendenze sadomaso e c'ha fatto i soldi. I soldi veri. Con la sua saga formata da Cinquanta sfumature di grigio e dai due seguiti Cinquanta sfumature di nero e Cinquanta sfumature di rosso ha venduto oltre 100 milioni di copie nel mondo. Credo che soltanto J.K. Rowling e gli Artisti Vari autori della Bibbia abbiano smerciato più copie. Se non è un genio lei...

La seconda cosa che ho da dire dopo aver visto Cinquanta sfumature di grigio è che il protagonista Christian Grey non è che sia poi così un pervertito. È un gran mischione di alcuni personaggi mitici come Christian Troy di Nip/Tuck, Patrick Bateman di American Psycho e Sebastian Valmont di Cruel Intentions, il tutto con cinquanta sfumature di cattiveria e di bastardaggine in meno rispetto a loro. Perché Christian Grey in fondo è un tenerone. È un tipo gigio.


La terza cosa che ho da dire è che mi aspettavo di peggio. Tutti a dire Cinquanta sfumature di schifo etc. e già mi aspettavo una delle più grandi atrocità mai realizzate. Invece è solo una porcheruola media, con diversi momenti trash, anche parecchio trash, ma che tutto sommato suscitano una gran ilarità. Cinquanta sfumature di grigio è la commedia più divertente dell'anno. Non me ne frega niente che questa probabilmente non fosse l'intenzione originale della produzione. In mezzo a tante rotture di palle di film visti, 50 sfumature mi ha regalato 2 ore di sane risate e per questo gliene sarò sempre grato.


La quarta cosa che ho da dire è che chi ha parlato di pellicola maschilista o anti-femminista penso faccia uso di droghe pesanti. Innanzitutto perché la regista del film Sam Taylor-Johnson è una donna, così come l'autrice del libro E.L. James, così come pure l'autrice della sceneggiatura Kelly Marcel. E poi perché il vero dominatore del rapporto tra Christian Grey e Anastasia Steele non è lui, uomo zerbino e come detto tenerone, quanto lei. Lui potrà anche avere i frustini, ma è sempre lei a tenere le redini del rapporto. A farsi desiderare. A dimostrare che, anche se è lui a far tanto l'esperto di sadomaso, il mondo gira sempre intorno alle donne.


La quinta cosa che ho da dire su 50 sfumature è che la parte più deludente della pellicola è quella sessuale. Paradossale, visto che la popolarità del libro è basata unicamente sulla sua (presunta) trasgressione, piuttosto che su (inesistenti) qualità letterarie. Se la trama sembra quella di un porno scritto (male) da un punto di vista femminile, poi quando si arriva nel vivo delle scenone di sesso tutto rimane molto freddo, asettico, ben poco sexy.

La sesta cosa che ho da dire è che Dakota Johnson è una bella fregnona.
Solo la sesta?
Lo so, sto perdendo colpi. E comunque non ci crede nessuno che la regina delle zoccole prima di incontrare Christian Grey/Jamie Dornan fosse vergine.


La sesta cosa bis che ho da dire è che Dakota Johnson come attrice non è affatto male. La parte della figa di legno che però poi non è così di legno le riesce in maniera parecchio credibile. E lo so che adesso starete storcendo il naso, ma tra qualche anno vi ricrederete, o infedeli. Dopotutto pure Kristen Stewart negli ultimi tempi sta facendo ricredere in molti. Merito delle sue parti in Still Alice, in Camp X-Ray e in un Sils Maria per cui ha persino vinto il César di miglior non protagonista, premio che non andava a un'attrice non francese da oltre 30 anni. La stessa cosa me la aspetto dalla figlia di Melanie Griffith e Don Johnson. Forse.

La settima cosa che ho da dire è che Jamie Dornan è un gran figo. 99 donne su 100 che ho sentito esprimersi su Cinquanta sfumature hanno dichiarato cose tipo: “Nah, ma che schifo, bleah, troppo inespressivo, troppo insipido, troppo poco macho.”
Io credo che, zitte zitte, 99 donne su 100 si farebbero sculacciare dal Dornan senza pensarci un istante. E, se nel contratto ci mette una cifra interessante, credo lo farei anch'io.



L'ottava cosa che ho da dire è che la colonna sonora è una bomba. Vi piaccia o meno il film, contiene cinquanta sfumature di musica che passano con disinvoltura dall'R&B di Beyoncé al pop sentimentale di Ellie Goulding, senza farsi mancare il rock dei Rolling Stones e persino un raffinato tocco di Frank Sinatra.

La nona cosa che ho da dire è che fondamentalmente questa è una romcom. Nemmeno troppo anti-romcom. È un Pretty Woman VS Cruel Intentions con dentro giusto un pizzico di sadomaso. È vero che nella parte finale il film svacca alla grande e vorrebbe essere qualcosa di più o di differente, fallendo in maniera misera, però se lo si prende in considerazione come una romcom tradizionale o quasi funziona discretamente bene.
E lo si può considerare un po' anche sul piano di quelle pellicole a tematica sessuale anni '90 di cui Demi Moore era specialista come Rivelazioni, Proposta indecente e Striptease. Tutti film più fumo che arrosto, in cui il sesso è più parlato che mostrato, proprio come 50 sfumature, ma a cui io non ce la faccio a voler troppo male.


Potrei arrivare a 50 sfumature di cose da dirvi su questo film, ma mi fermo a dieci.
La decima cosa che ho da dire è che il fatto che questa pellicola mi sia piaciuta, o comunque non mi sia dispiaciuta troppo, mi preoccupa. Credo di avere qualcosa che non va. Tutti hanno criticato, detestato, massacrato Cinquanta sfumature di grigio. Milioni e milioni di persone nel mondo l'hanno visto e tutti a parlarne male, tranne me. Sono io a essere fuori di testa, cosa che non escludo assolutamente, oppure sono l'unico a essere sincero, l'unico che ha il coraggio ma più che altro l'incoscienza di ammetterlo?
Confido comunque che il tempo mi darà ragione. Cinquanta sfumature di grigio un giorno verrà rivalutato come un altro dei film più sottovalutati nella storia del cinema, Showgirls.
Ah, come dite? Showgirls non è mai stato rivalutato?
Beh, Cinquanta sfumature di grigio invece lo sarà. Credetemi, come è già successo con la saga di Twilight, quando usciranno i sequel questo primo episodio probabilmente lo rimpiangerete. Lo rimpiangerete forte.
(voto 6+/10)

P.S. A parte mettere sotto contratto delle tipe per sculacciarle, ma che lavoro fa questo Christian Grey per essere così ricco?

AUTOMATA, MA CHE CAGATA!

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Anno 2044 dopo Cristo.
Il mondo è stato decimato da una serie di tempeste solari che hanno trasformato la superficie terrestre in un deserto radioattivo ed è diventato così un posto davvero triste. L'unico blog di cinema rimasto è Pensieri Cannibali, riuscite a immaginare qualcosa di più triste?
Nel desolante panorama della critica cinematografica, la voce di Cannibal Kid detta quindi legge. Se un film piace a lui, tutti corrono a vederlo. Se lui lo boccia, il pubblico diserta le sale. Pensieri Cannibali in pratica possiede il monopolio delle opinioni sui film.
Questo almeno fino all'arrivo di Ford-800, un robot automa incapace di sviluppare pensieri propri, programmato apposta dalle major cinematografiche riunite che gli fanno scrivere ciò che vogliono loro. Il suo blog, WhiteRobot, nelle ultime settimane ha ottenuto un successo crescente, che Pensieri Cannibali ha cercato di contrastare sparando opinioni sempre più astruse e anti popolari. Una scelta strategica non proprio azzeccata che l'ha portato a perdere ulteriori lettori.
Questa che vi proponiamo qui sotto è la sua ultima recensione dedicata al film Automata. Una pellicola apprezzata da quasi tutti quelli che l'hanno vista, ma non da Cannibal Kid. Dopo questo post, Pensieri Cannibali ha perso così anche i suoi ultimi utenti ed è stato smantellato. Adesso al suo posto è stato aperto un Carrefour.



Autómata
(Spagna, Bulgaria, USA, Canada 2014)
Regia: Gabe Ibáñez
Sceneggiatura: Gabe Ibáñez, Igor Legarreta, Javier Sánchez Donate
Cast: Antonio Banderas, Birgitte Hjort Sørensen, Melanie Griffith, Dylan McDermott, Robert Forster
Genere: robotico
Se ti piace guarda anche: Io, Robot, Real Humans, Eva, Minority Report, Il mondo dei replicanti

Mi sento accerchiato. Mi sento incompreso. Mi sento paranoico. È come se il resto del mondo andasse in una direzione e io mi dirigessi in quella opposta. Sono l'unico che parla bene di un film tv come L'Oriana, sono ancora più l'unico a promuovere un film detestato come Cinquanta sfumature di grigio, mentre tutto il resto del mondo ad esempio esalta come un autentico capolavoro televisivo quella brutta copia di Breaking Bad che risponde al nome di Better Call Saul. Nel frattempo, un filmaccio come American Sniper conquista milioni di dollari e di euro ai botteghini mondiali. Non bastasse ciò Il Volo, dopo aver vinto il Festival di Sanremo, sono al primo posto della classifica italiana, sia quella dei singoli che quella degli album. E il loro non è nemmeno un album vero e proprio, ma solo un EP. Chi diavolo è che compra un disco de Il Volo? Ne ha uccisi di più la voce dei tre tenorini di qualunque tempesta solare.
Oggi come oggi vengono poi esaltati come filmoni dei filmetti fantascientifici come Gravity, Cloud Atlas oppure questo Automata. E io, mentre mi sento sempre più forever alone, mi chiedo il perché.

Automata fondamentalmente è un film noioso, nella seconda parte noiosissimo, ed è davvero mal recitato. Il protagonista Antonio Banderas nelle scene in cui urla e vorrebbe fare una performance da Oscar non si può vedere. Per tutta la pellicola poi non si può sentire. Per una volta, credo che il film doppiato in italiano sia meglio della versione in lingua originale. L'accento spagnolo di Banderas fa rimpiangere l'inglese di Matteo Renzi e, da un momento all'altro, nel corso della visione mi aspettavo che dicesse anche lui “Shish is the word”.
Per non parlare dell'apparizione, per fortuna breve, della sua ex moglie, Melanie Griffith, che a forza di botox è diventata meno espressiva dei vari robot presenti. Per quanto riguarda invece la moglie di Banderas all'interno della pellicola, tale Birgitte Hjort Sørensen, ma dove l'hanno presa una cagna del genere? Non venitemi poi a criticare Vittoria Puccini o la figlia della Griffith, Dakota Johnson.

"Smettetela di darmi del robot." 
"Lei è un robot! Non si vede la differenza?"

Considerando che Robert Forster appare svogliatissimo, il migliore del cast è allora il granitico Dylan McDermott, che recita tutto il tempo con gli occhiali da sole sul volto per mascherare la sua inespressività cronica. E un film in cui Dylan McDermott è quello che recita meglio è un film in cui il livello attoriale è davvero basso. Molto basso.


A ciò possiamo aggiungere una storia fantascientifico-robotica che, almeno inizialmente, non sembrerebbe nemmeno malaccio. Il problema è che i livelli di originalità si aggirano intorno allo zero. Si tratta della solita vicenda in cui si riflette sulla componente umana dei robot, da qualche parte tra Io, robot e Wall-E, con un immaginario visivo scopiazzato da Minority Report, con varie idee rubacchiate qua e là non solo da Asimov, ma pure da Philip K. Dick e a me, chissà perché, ogni volta che dico Philip K. Dick mi viene da ridere.
Una cosa che non fa ridere è invece questo desolante film, che si prende troppo sul serio e non concede manco mezzo momento d'ironia o di alleggerimento. Automata è una pellicola spagnola che prende molto dal cinema di fantascienza americano degli ultimi decenni, solo che si dimentica di mettere una dose minima di umorismo che in quelle pellicole di solito non manca. Il tutto arriva inoltre con un ritardo clamoroso. Se questo film fosse uscito negli anni '90 o al massimo nei primi Anni Zero, lo si sarebbe potuto salutare ancora come una discreta novità, sebbene certe tematiche già dopo 2001: Odissea nello spazio e Blade Runner apparissero piuttosto superate. Adesso che siamo nel 2044 però non se ne può più. Su questi argomenti abbiamo già visto tutto.

"Segni particolari: inespressivo.
Me lo sono fatto scrivere pure sulla carta d'identità, così non me ne dimentico mai."

Tutto da buttare, quindi?
No, perché la realizzazione tecnica, nonostante non sia una produzione hollywoodiana, è buona. Il suo problema sta nei ritmi lenti, davvero troppo lenti per essere gentili e non dire soporiferi. Il problema è che non ha l'originalità nell'affrontare l'argomento robotico ad esempio della serie svedese Real Humans, così come non emoziona come un altro film spagnolo simile, Eva. Il limite numero uno sta comunque nel protagonista. Se al posto del pessimo Antonio Banderas ci fosse stato un Tom Cruise o un Bruce Willis o persino un Will Smith, ci troveremmo di fronte a un filmetto sci-fi riciclato, un riciclaggio in particolare di Io, robot, che già non è che fosse il film fantascientifico più originale del mondo, ma comunque godibile. Con Antonio Banderas, e con quel finale che più buonista e ruffianotto non si potrebbe, Automata si è trasformato invece in una cagata.
E con questo è tutto. Il blog chiude i battenti. In questo desolante 2044 non c'è più spazio per Pensieri Cannibali. Da domani arriverà un robot a prendere il mio posto. Il mondo ormai è loro. Loro, dei centri commerciali e della musica dei tre tenorini.
(voto 5/10)

NESSUNO SI SALVA DAI FILM DI QUESTA SETTIMANA

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Settimana spentarella per quanto riguarda le uscite cinematografiche.
A provare a illuminarla ci penseranno allora i sempre più assurdi e imprevedibili post di Pensieri Cannibali. Così come i commenti del sottoscritto Cannibal Kid e dell'ormai definitivamente bollito Mr. James Ford ai film in arrivo nelle sale. Quali sono?
Eccoli qui sotto.

Nessuno si salva da solo
"Babi, ma quanto sei ingrassata da 3MSC?"
Cannibal dice: Nessuno si salva da solo, ma se Ford aspetta che lo salvi io, campa cavallo...
Un attore di cui salverei la carriera, o almeno le intenzioni, è Riccardo Scamarcio, che dopo il successo di 3MSC è riuscito a costruirsi un suo percorso cinematografico dignitoso. Adesso è protagonista di questo nuovo film di Sergio Castellitto, di cui avevo apprezzato Non ti muovere e La bellezza del somaro, mentre mi era sembrato alquanto modesto il suo ultimo Venuto al mondo, pure questo tratto così come il nuovo Nessuno si salva da solo da un romanzo di Margaret Mazzantini, ovvero sua moglie. Non sono quindi troppo fiducioso, ma un'occhiata mi sa che gliela darò in ogni caso, sicuro del fatto che Ford, con una delle sue solite scelte radical-chic, snobberà questa proposta firmata dalla radical-chicchissima coppia Castellitto + Mazzantini.
Ford dice: nessuno si salva da solo. Specialmente Cannibal, quando finalmente gli metterò le mani addosso.
Castellitto mi è sempre piaciuto più come interprete che non come regista, pur ritenendolo radical e poco simpatico in un modo che non riterrei neppure il mio detestabile rivale.
Sinceramente, non credo sarà mia priorità recuperarlo, dunque attenderò di criticare senza pietà la recensione del Cucciolo Eroico.

Focus - Niente è come sembra
"Willy, vuoi offrirmi un WhiteRussian?
Io volevo dartela, ma adesso c'ho ripensato."
Cannibal dice: Dopo il mega floppone After Earth, Will Smith rifà il suo ingresso nel mondo del cinema hollywodiano con una pellicola che sembra una commedia-thriller-action di quelle che andavano forte quando andava forte lui. E quando Ford era ancora in età da pre-pensione, seppure per poco. Io comunque un'occhiata senza troppe aspettative e per una serata disimpegnata gliela darei, non fosse altro che per la presenza di Margot Robbie.
Ford dice: Will Smith un tempo mi stava simpatico. Il principe di Bel Air, Men in black, quell'approccio un po' tamarro e un po' scanzonato che piace tanto al sottoscritto. Poi, tra Io sono leggenda e After Earth, non ricordo un solo film con protagonista il buon Will che valesse la visione - tranne, forse, Hancock -, anzi, gli effetti delle stesse visioni sono stati assolutamente devastanti.
Dunque direi che questo Focus finirà per essere visto per dovere di cronaca e massacrato come si conviene.
E in questo senso spero proprio che a Peppa Kid piaccia.

Black or White
"Figliolo, vai pure a fare wrestling.
La corsa è uno sport solo per cuccioli eroici e non per noi fordiani."
Cannibal dice: Un film con Kevin Costner significa una cosa sola, anzi due: la prima è che trattasi di film fordiano. La seconda è che quindi io me lo posso risparmiare alla grande. E voi?
Ford dice: io voglio bene a Kevin Costner, che è un fordiano fatto e finito. Ma credo che abbia già bruciato il suo bonus con Three days to kill. Senza contare che questo film mi ispira quanto una porcata di Lars Von Trier suggerita da Cannibal.

The Search
"Non devi picchiare il Fordino, devi picchiare suo padre, il Fordone.
Lo vedi? E' quell'anziano là. Vai e attacca!"
Cannibal dice: Pellicola incognita della settimana. Il nuovo film di Michel Hazanavicius, il regista dello splendido film premio oscar The Artist, pare sia un mattonazzo di due ore e mezza davvero pesante. La tematica della guerra in Cecenia d'altra parte non è certo leggera. Io mi sa allora che faccio il superficialone di turno e non vado alla ricerca di questo The Search. Salvo una stroncatura da parte di Ford, che mi porterebbe a un recupero immediato.
Ford dice: non sono troppo ansioso di recuperare questo The search. Hazanavicius, che aveva firmato lo splendido The artist, è ormai approdato ai lidi dorati delle grandi produzioni, e temo che questi possano condannarlo come è accaduto a tanti altri registi prima di lui. Sarei lieto di venire smentito, così come lo sarei se il mio rivale cominciasse a mostrare di capirci qualcosa di Cinema, ma non sempre i sogni si realizzano.

Superfast, Superfurious
Ford Diesel si mette in mostra con gli amici.
Cannibal dice: Schifezza assicurata al 100%, però io di fronte ai film parodia non mi tiro quasi mai indietro. Un po' come fa Ford con gli action movies anni ottanta e/o con attori residuati dagli anni ottanta. Con la differenza che io riconosco che si tratta di porcherie assolute, mentre lui cerca di spacciare i suoi film guilty pleasure per dei capolavori.
Ford dice: schifezza totale che non guarderò neppure sotto tortura.
Ormai l'unica persona sopra i quattordici anni che pare continuare ad avere interesse in queste parodie resta il non più troppo giovane anagraficamente Cannibal Kid.

Senza Lucio
"Attenti al lupo ma tu, Cannibal, stai attento soprattutto al Ford."
Cannibal dice: Lucio Dalla non mi è mai piaciuto particolarmente, ma nemmeno mi è mai spiaciuto troppo. Cosa che, per un cantante nazional-popolare italiano, non è da poco. Questa pellicola documentario in ogni caso mi pare più una visione adatta ai fan hardcore del cantautore bolognese, quindi mi sa che io starò senza Senza Lucio. E di sicuro Senza Ford.
Ford dice: grande rispetto per Dalla, nonostante tra i cantautori italiani non sia certo il mio favorito. Non penso, dunque, che mi butterò a capofitto in questa visione, lasciando eventualmente che siano le canzoni del fu Lucio a ricordarmi la sua opera e l'importanza che ha avuto rispetto alla musica italiana.

CHI È SENZA COLPA... NON LA DIA A ME

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Chi è senza colpa
(USA 2014)
Titolo originale: The Drop
Regia: Michaël R. Roskam
Sceneggiatura: Dennis Lehane
Ispirato al racconto: Animal Rescue di Dennis Lehane
Cast: Tom Hardy, James Gandolfini, Noomi Rapace, Matthias Schoenaerts, John Ortiz, Elizabeth Rodriguez, Ann Dowd
Genere: colpevole
Se ti piace guarda anche: Mystic River, Gone Baby Gone, The Iceman

Chi è senza colpa?
Chi è stato assolto in Cassazione in maniera definitiva può essere considerato senza colpa?
Per la legge italiana sì.
Chi altri?
Io sono senza colpa. L'unica colpa che mi si può imputare è quella di parlare malamente di cinema e a volte pure di musica e serie tv, ma nessuno è perfetto.

I titolisti italiani sono senza colpa?
Loro no. Loro sono pieni di colpe. Pieni di fantasia, ma anche pieni di colpe. Ci va una mente malata per prendere un film che in originale si chiama The Drop, ovvero la consegna, e trasformarlo in Chi è senza colpa. Un mezzo riferimento biblico presente solo perché il protagonista Tom Hardy di tanto in tanto va in Chiesa. Che poi non era “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”?
Sì, dall'alto delle mie non-conoscenze religiose mi pare di sì. Chi è senza colpa è allora un titolo del tutto casuale e pure bruttarello. Capisco che The Drop non funzionasse granché, però Chi è senza colpa ancora meno.

Il regista di questo film Michaël R. Roskam è senza colpa?
Qualche colpetta ce l'ha. Innanzitutto avere un nome difficile da scrivere, e poi quella di essere un autore belga che, dopo l'esordio con l'osannato Rundskop, ha subito ceduto alle lusinghe hollywoodiane ed è andato a mettere la firma su una produzione d'Oltreoceano a caso. Devo ammettere che, nonostante i numerosi pareri positivi sentiti in giro, Rundskop manca ancora alle mie visioni. E questa è un'altra mia colpa. A guardare questa sua opera seconda, mi sembra però che lo stile Roskam l'abbia lasciato in Belgio. Chi è senza colpa è un film girato in maniera parecchio anonima, come avrebbe potuto fare qualunque mestierante in giro a Hollywood. Un po' come quando Gabriele Muccino è passato dalle produzioni italiane, che possono piacere o meno ma avevano impresso il suo personale zampino, e poi è andato negli Usa a firmare pellicole prive di una qualunque riconoscibilità registica come La ricerca della felicità, Sette anime, o il recente Quello che so sull'amore.


"Oh, andiamo. Sei gelosa perché mi hai visto limonare con il cane?
Guarda che posso benissimo avere una relazione con tutte e due contemporaneamente."

Il protagonista Tom Hardy è senza colpa?
Ha giusto la colpicina di aver scelto, dopo un film memorabile come Locke, un lavoro che non è troppo memorabile.
Non troppo memorabile?
Diciamo che l'avevo già cancellato dalla mia memoria 10 secondi dopo i titoli di coda. Chi è senza colpa rientra in quel poco invidiabile gruppo, ultimamente sempre più numeroso, di film che non possono essere considerati brutti, perché The Drop non lo è di certo, ma che comunque sono incapaci di lasciare un qualche minimo segno. Come The Iceman con Michael Shannon. Sono quelle storie mezze criminali e mezze esistenziali che già abbiamo visto svariate volte e che non aggiungono niente di nuovo, niente di profondo, niente che sia significativo. Chi è senza colpa vorrebbe ambire al ruolo di nuovo cult attraverso i suoi vaghi echi de La 25a ora, in particolare nel peregrinare del protagonista in compagnia del cane, e con un'atmosfera vagamente dalle parti di Mystic River, d'altra parte anche in questo caso si tratta dell'adattamento di una storia scritta da Dennis Lehane. Solo che ha la colpa di non essere cult manco per sbaglio.
In più il film, oltre alla vicenda pseudo criminale principale, vuole inserire al suo interno una storiella romantica con Noomi Rapace che però anch'essa non lascia il segno e infine Roskam ci infila dentro pure il protagonista del suo film precedente Matthias Schoenaerts, colpevole di non segnalarsi come invece faceva alla grande nello stupendo Un sapore di ruggine e ossa. Oltre che di avere un nome ancora più impronunciabile di quello del regista.

"Dopo gli uomini che odiano le donne, sei passata agli uomini che amano i cani?
Complimenti Noomi, stai facendo progressi!"

Per quanto la visione scivoli via senza problemi e per quanto faccia piacere rivedere per un'ultima volta James Gandolfini, di questo The Drop alla fine non resta impresso nulla. Sono arrivato ai titoli di coda domandandomi: “E allora?”.
Se il film non mi è arrivato però magari non è per demeriti propri, ma è solo per colpa mia, la mia ennesima. D'altra parte chi è senza colpa?
A pensarci bene, forse nemmeno io che continuo a macchiarmi della colpa di guardare film inutili.
(voto 6-/10)

#ScrivimiAncora #CheFilmPuccioso

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#ScrivimiAncora
(UK, Germania 2014)
Titolo originale: Love, Rosie
Regia: Christian Ditter
Sceneggiatura: Juliette Towhidi
Tratto dal romanzo: Scrivimi ancora di Cecelia Ahern
Cast: Lily Collins, Sam Claflin, Jaime Winstone, Suki Waterhouse, Christian Cooke, Tamsin Egerton, Lily Laight, Lorcan Cranitch, Ger Ryan
Genere: #romcom
Se ti piace guarda anche: Questione di tempo, Boyhood, Juno, The First Time, One Day



Marco Goi @cannibal_kid
Qualcuno mi sa spiegare perché un film intitolato Love, Rosie in Italia si è trasformato per magia in #ScrivimiAncora?


Lily Collins @sopraccigliona89
Davvero??? Cosa avete di sbagliato, voi italiani? #ItaliansDoItWorst



Marco Goi @cannibal_kid
Io niente e se vieni qua te lo dimostro. Prima però magari fai qualcosa per le tue #sopracciglia.


Lily Collins @sopraccigliona89
Perché, che hanno le mie sopracciglia che non va? #DubbioAmletico



Marco Goi @cannibal_kid
Niente, Lily #staiserena. È solo che sono, come dire? Importanti. Sopracciglia a parte, in questo film sei davvero splendida. #BellaPatata


Lily Collins @sopraccigliona89
Oh, thank you very much. ❤ #ILoveItalians



"Lily, smettila di twittare con quel Cannibal. Di sicuro è un sociopatico."

"Mmm, allora forse questa foto è meglio se non gliela mando..."


Marco Goi @cannibal_kid
E inoltre dimostri, forse per la prima volta, di essere anche un'ottima attrice. Sei tu la trascinatrice del film. #BravaLily


Sam Claflin@Scem_Claflin
Vorresti dire che io non conto niente? #FuckYouCannibal



Marco Goi @cannibal_kid
È arrivato Mr. Permaloso! Sam, pure tu #staisereno. Tu te la cavi bene, ma il film è più che altro dominato da @sopraccigliona89, sorry. #stacce


Sam Claflin @Scem_Claflin
Comunque anche secondo me il titolo italiano è una cagata pazzesca! #ItaliansDoItWorst



Marco Goi @cannibal_kid
Non ha senso fare un titolo giocato sugli #hashtag e sul linguaggio di Twitter, visto che il film riprende semmai le vecchie chat.


Sam Claflin @Scem_Claflin
Un po' come non ha senso questo post! #FuckYouCannibal



Lily Collins @sopraccigliona89
Il film ripercorre gli ultimi 12 anni come Boyhood solo che noi non abbiamo perso 12 anni x girarlo e non c'ha filati nessuno. #ingiustizia


Marco Goi @cannibal_kid
Per me questo film è un incrocio tra Boyhood, Teen Mom in versione UK e una romcom British stile Questione di tempo. #JustSaying


Sam Claflin @Scem_Claflin
Ebbravo Cannibal, anche per oggi la tua stronzata l'hai sparata. #FuckYouCannibal



Marco Goi @cannibal_kid
Se posso aggiungere un'altra cosa, è pure un film puccioso. Ma non nel senso di stucchevole e sciocco alla Sparks o alla Moccia. #FuckYouSam


Lily Collins @sopraccigliona89
E allora in che senso? #DubbioAmletico



Marco Goi @cannibal_kid
@sopraccigliona89 nel senso che è un film troppo carino. Di quelli che ti fanno riflettere sulla vita e allo stesso tempo ti fanno stare bene.


Sam Claflin @Scem_Claflin
Sei proprio un tenerone! #FuckYouCannibal



Marco Goi @cannibal_kid
E tu sei un cattivo e un antipatico e #ConTeNonParlo+



Lily Collins @sopraccigliona89
Nessuno è però riuscito a spiegare perché il film l'hanno chiamato #ScrivimiAncora. #DubbioAmletico


Marco Goi @cannibal_kid
Probabilmente perché i distributori italiani hanno voluto ammiccare al pubblico ggiovane e ai #bimbiminkia.


Sam Claflin @Scem_Claflin
Proprio come te con questo stupido post, Cannibal. #FuckYouCannibal



Marco Goi @cannibal_kid
#Beccato



(#voto 6,5/10)

"Oh mio Dio, una lettera!
E io che pensavo si fossero estinte con l'invenzione di Twitter."

THE ROYALS, DIO SALVI LA REGINA. E PURE IL TRASH

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The Royals
(serie tv, stagione 1, episodi 1-2)
Rete americana: E!
Rete italiana: (purtroppo) non ancora arrivata
Creata da: Mark Schwahn
Cast: Elizabeth Hurley, Vincent Regan, William Moseley, Alexandra Park, Merritt Patterson, Jake Maskall, Oliver Milburn, Tom Austen, Ukweli Roach, Hatty Preston, Lydia Rose Bewley
Genere: trash regale
Se ti piace guarda anche: Reign, Gossip Girl, E!

Mai visto tanto trash in una volta sola. Lo dico come complimento, cosa credete? Se non siete preparati, fate però molta attenzione, perché con The Royals potreste finire in overdose.
Di cosa parla questa nuovissima serie appena iniziata negli Usa?
Se siete un minimo svegli e se in questo momento siete in questo blog a leggere questo post vuol dire che no, probabilmente non lo siete, magari avrete capito che si parla di reali, per la precisione di reali inglesi. Non la vera famiglia reale inglese, ma una versione per fiction con alcune varianti. La più evidente alla vista?
Non c'è Elisabetta II, bensì una regina leggerissimamente più giovane e figa: Elizabeth Hurley in versione Royal MILF.


In questa famiglia reale inglese televisiva il re interpretato da Vincent Regan gioca un ruolo un po' più attivo rispetto al marito della regina Elisabetta, ovvero Filippo di Edimburgo. Qui non si limita a cazzeggiare e a fare gaffe in giro, bensì prende delle decisioni tipo promuovere un referendum popolare per eliminare la monarchia dal Regno Unito. Cose di poco conto di questo genere.


I 2 hanno 3 figli, o meglio ne avevano 3, perché 1 è morto. Non è uno spoiler, capita subito in apertura di serie e quindi non vi rovino niente.
Tra i figli ancora in vita una è una stragnocca tossica, zoccola, bisessuale e (apparentemente) superficiale, una party girl a metà strada tra Pippa Middleton e Paris Hilton con l'aggiunta di un tocco di dark side che male non fa. A interpretarla c'è la bella rivelazione Alexandra Park.


L'altro figlio è invece portato sul piccolo schermo dal teen idol William Moseley, che qualcuno avrà già visto nella saga di Narnia che io ho sempre evitato come la peste, una specie di alter-ego del Principe William che vive un'analoga storia d'amore con la Kate Middleton di turno. Una tipa che non solo non ha origini aristocratiche, ma è figlia del capo della sicurezza dei reali e che quindi, come potrete immaginare sempre se siete un minimo svegli, non sarà vista molto di buon occhio dalla super snob regina Elizabeth Hurley in versione più Victoria Beckham che non Elisabetta II.


Tra i motivi per cui la serie merita di essere vista è che è schifosamente piena di tipi fighi & tipe fighe, tipo appunto la novella Kate Middleton, Merritt Patterson.


Tra gli altri motivi per cui The Royals è un nuovo appuntamento seriale imperdibile è che fa apparire Uomini e donne come un programma ad alto contenuto culturale. E chi poteva regalarci una serie così spudoratamente e mostruosamente trash da risultare ge-ni-a-le?
E! Entertainment. E!bbene sì. Questa è la prima serie fiction originale trasmessa dal canale americano dedito al culto del gossip. Sì, quel canale che Studio Aperto prende come modello di riferimento proprio come Sky TG24 fa con la CNN.

A firmare The Royals vi è Mark Schwahn, già creatore di One Tree Hill, una serie adolescenziale che era partita come una specie di versione sportiva, incentrata sul basket, di Dawson's Creek e poi ha trovato una propria strada. Un telefilm che nel suo modo di raccontare lo sport ha influenzato ad esempio Friday Night Lights e in cui c'era uno dei primi personaggi indie nella storia della tv, Peyton Sawyer, in contemporanea al Seth Cohen di The O.C.. In pratica, una delle serie teen migliori di sempre che però a un certo punto ha accantonato i suoi due personaggi migliori, la citata Peyton e il cestista con velleità letterarie Lucas Scott, e ha svaccato, trasformandosi in una soap-opera clamorosa. Mark Schwahn è quindi uno che nel genere ci sguazza alla grande e nel pilot di The Royals ha davvero dato il meglio (o il peggio) di sé, creando un miscuglione pazzesco di Gossip Girl + Reign + un programma a caso di E! + un pizzico di Downton Abbey + una dose abbondante di tabloid scandalistici britannici + Dynasty + Dallas + Beautiful.
Se cercate quindi la serie guilty pleasure dell'anno e forse del millennio, la visione più disimpegnata possibile, quella perfetta per scollegare il cervello e renderlo del tutto inutilizzabile, ora l'avete trovata.
The Royals, lunga vita al trash.
(voto 6,5/10)

HOME - STATE A CASA INVECE DI ANDARE AL CINEMA

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Settimana di transizione nei cinema italiani. In attesa di qualche uscita di maggior richiamo in arrivo nel periodo pasquale, vi tocca beccarvi una serie di pellicole non molto promettenti ma dietro alle quali si potrebbe celare qualche inaspettata sorpresa.
Così come dietro all'incompetenza del mio blogger rivale e co-conduttore di questa rubrica Mr. James Ford si potrebbe nascondere un vero intenditore di cinema...
Naaah, impossibile!
Ecco comunque a voi l'unica rubrica cinematografica del web che vi consiglia di NON andare al cinema.

Home - A casa
"AAAAAH, un Ford! Che schifo!"
Cannibal dice: Bambinata DreamWorks che lascio volentieri a casa Ford. In casa Pensieri Cannibali sono preferiti i film per adulti. O quelli per teenagers.
Ford dice: la Dreamworks, fatta eccezione per pochi titoli decisamente ottimi come i due Dragon Trainer, mi è sempre sembrata la versione sfigata della Pixar. Questo Home mi pare non si discosti molto da quest'idea.
Posso solo sperare di essere smentito, non fosse altro che per recensire bene un titolo che so già che il mio rivale potrebbe detestare.

L'ultimo lupo 3D
"Su col morale! Di certo adesso ci sono Lupi che se la passano peggio di te..."
Cannibal dice: La bambinata d'animazione per questa settimana non bastava. Ci voleva pure la pellicoletta d'avventura con tanto di animali e anche se parlo di lupi, e non di quella bestia di Ford, non ci siamo comunque. Io i Lupi non li sopporto. L'unico che mi piace è quello di Wall Street.
Ford dice: Annaud, fin dai tempi de L'orso, pare essersi preso una cotta clamorosa per i film radical new age che con il tempo ho finito per sopportare sempre meno.
L'ultimo lupo io lo terrei a stecchetto per qualche giorno, e poi lo scatenerei nella cameretta del Coniglione.

Lettere di uno sconosciuto
"Ahahah, leggo i battibecchi tra Cannibal e Ford e mi torna subito il buon umore."
Cannibal dice: Cos'è, la settimana del cinema fordiano? Tra i film in arrivo c'è pure questa mazzata pseudo autoriale cinese che mi attira quanto la recensione del mio blogger rivale di un film pseudo autoriale cinese.
Ford dice: probabilmente una decina d'anni fa sarei corso a recuperare questo film, considerato quello che è stato il mio "periodo asiatico": ora, sinceramente, preferisco investire le mie energie - e la banda larga - per ripescare Michael Mann.

La famiglia Bélier
"Cuoricino per la famiglia Bélier. E pure per quella Goi."
Cannibal dice: Meno male che a risollevare una settimana che pareva dedita al fordismo più spinto ci pensa il buon cinema dal paese più radical-chic del mondo: la Francia, ovviamente. Questa commedia dai toni adolescenziali potrebbe rivelarsi la visione più radical-chic, e quindi più cannibale, della Ford Week.
Ford dice: questa è l'incognita della settimana. Potrebbe rivelarsi una piacevole sorpresa o una robetta radical chic degna delle peggiori bottigliate. Staremo a vedere.
Cannibal, invece, è una certezza: i suoi giudizi sono sempre ben oltre il grottesco.

French Connection
"Prestare l'auto a Ford? Ma che m'era saltato in mente?
E' un miracolo che mi sia tornata ancora con le ruote!"
Cannibal dice: Altra pellicola francese, altra possibile sorpresa positiva. Thriller ambientato negli anni settanta con il buon Jean Dujardin, questo French Connection dal trailer molto promettente una visione sembra meritarsela tutta. E potrebbe anche essere l'unico film settimanale a mettere d'accordo sia me che Ford. Purtroppo, perché sarebbe meglio se non ce ne fosse manco uno.
Ford dice: seconda pellicola francese e secondo film potenzialmente interessante della settimana. Il titolo richiama al grande Classico Il braccio violento della legge, il trailer pare discreto, le aspettative moderatamente alte. Speriamo non finisca per diventare una bottigliata connection.

Ho ucciso Napoleone
"Ho cancellato il numero di Ford dalla rubrica dell'iPhone...
oops, quanto mi dispiace!"
Cannibal dice: Avrei preferito che avesse ucciso un certo mio blogger rivale, ma bisogna accontentarsi...
Questo Ho ucciso Napoleone è una commedia con Micaela Ramazzotti e Libero De Rienzo che mi pare possa avere del potenziale. Mentre Ford uccide il cinema italiano a colpi di recensioni strampalate, io una possibilità a questa produzione nostrana mi sento invece di concedergliela.
Ford dice: il mio rapporto con il Cinema italiano, di recente, è assolutamente pessimo.
Dunque, piuttosto che concedere spazio a proposte di questo tipo, penso potrei recuperare qualche chicca nostrana d'autore molto datata giusto per fare incazzare un po' il mio antagonista.

La terra dei santi
Aveva appena visto un film consigliato da Ford.
Soltanto una coincidenza?
Cannibal dice: Un'altra pellicola italiana, ma questa volta si parla di 'ndrangheta e mi sa di una cosa troppo seriosa e impegnata. Preferisco passarla a Ford.
La pellicola, intendo. Avevate capito la 'ndrangheta?
Ford dice: mi pare una pellicola troppo seriosa e impegnata per il mio superficiale rivale. Vedrò di recuperarla io.

Onde Road
Una foto di Ford negli anni '70?
No, una foto di Ford oggi.
Cannibal dice: Docu-fiction che parla di radio pirata anni '70/'80 e che sulla carta pare una visione interessante. Nella realtà, ho come l'impressione che possa tramutarsi in una fordianata clamorosa. Ma spero di sbagliarmi.
Ford dice: questa è un'incognita vera e propria. Potrebbe rivelarsi una cosa nelle mie corde, o una robetta di quelle per le quali si esalta senza alcuna ragione apparente il mio rivale. Per il momento non ho fretta di scoprire dove stia la verità.

1992, L'ANNO E LA SERIE DEI CRAXY DAYS

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1992
(serie tv, stagione 1, episodi 1-2, Italia 2015)
Reti italiane: Sky Atlantic, Sky Cinema 1
Nata da un'idea di: Stefano Accorsi
Regia: Giuseppe Gagliardi
Sceneggiatura: Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
Cast: Stefano Accorsi, Miriam Leone, Domenico Diele, Guido Caprino, Tea Falco, Alessandro Roja, Eros Galbiati, Antonio Gerardi, Pietro Ragusa, Silvia Degrandi, Bebo Storti
Genere: internazional-popolare
Se ti piace guarda anche: Romanzo di una strage, House of Cards, Gomorra - La serie

Voi cosa facevate, nel 1992?
Io non so bene cosa facevo, ma so cosa non facevo: all'epoca non ero tra gli indagati di Tangentopoli. Il motivo?
Avevo appena 10 anni. Ero ancora troppo giovane per avere processi a carico.

Cosa stava facendo Stefano Accorsi, nel 1992?
Era alle sue primissime esperienze recitative, ma ancora non lo conosceva nessuno. Soltanto l'anno dopo sarebbe entrato nell'immaginario collettivo nazionale grazie al mitico “Du gust is megl che uan” dello spot Maxibon.



Cosa stava facendo Antonio Di Pietro, nel 1992?
Con Craxi nel mirino, dava il via all'epoca di Mani Pulite, come potrete scoprire guardando la nuova serie di Sky intitolata appunto come quell'anno, 1992. Dentro ci troverete anche Di Pietro, interpretato da Antonio Gerardi in una maniera per fortuna non macchiettistica. Per quanto il suo ruolo sia ben presente, d'altra parte in una storia ambientata nella Milano di Tangentopoli non poteva essere altrimenti, Di Pietro non è però uno dei personaggi principali.


I protagonisti della serie sono un gruppetto di tizi e tizie che ruotano intorno alla vicenda di Mani Pulite in maniere differenti.
C'è il pubblicitario alla Don Draper di Mad Men trasportato però negli anni '90 e reso più cinico dallo sguardo di uno Stefano Accorsi che non avevo mai visto così incattivito. Sarà che per me è sempre stato quello del Maxibon e anche l'Alex di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, un libro ambientato anch'esso proprio nel 1992. Sarà un caso?


Il pubblicitario interpretato da Stefano Accorsi, che tra l'altro ha pure avuto l'idea da cui è nata la serie, ha una relazione sentimental... come non detto, una relazione sessuale con Miriam Leone. Quanto è bella Miriam Leone? (notare che ho detto "bella" e non ho usato nessun termine scurrile, sto migliorando!)
Non sono certo il primo ad accorgersene, visto che nel 2008 è stata eletta Miss Italia, solo che a me di solito le Miss Italie non piacciono molto. Mi piacciono di più quelle che finiscono seconde o terze o che vengono eliminate subito. L'incoronazione di Miriam Leone è invece stata una delle rarissime che ho condiviso. Sarà per caso per via dei capelli rossi che a me notoriamente fanno impazzire?
Miriam Leone adesso è ancora meglio che nel 2008 ed è pure un'attrice promettente. Non ci credete?
Smettetela di guardare La dama velata e puntate su 1992.


Miriam Leone ha la parte di una showgirl che per fare carriera si fa un ricco imprenditore. Tra gli altri personaggi troviamo poi uno sbirro malato di AIDS portato sul piccolo schermo dall'attore rivelazione Domenico Diele, il quale inizia una storia con la figlia del sopra menzionato imprenditore che è interpretata da Tea Falco.


Apriamo il capitolo Tea Falco. Sui social network la sua performance in 1992 è stata massacrata. Se volete saperne di più, leggetevi ad esempio il divertente articolo pubblicato da Il Fatto Quotidiano. Io invece credo di essere l'unico al mondo o se non  altro in Italia ad averla (moderatamente) apprezzata. Il suo è un personaggio troppo emo, che parla con uno scazzo addosso misto a un disagio esistenziale nirvaniano tipicamente 90s. Ogni sua parola sembra provenire dal letto di morte di un malato terminale. Lo so che quanto ne è venuto fuori è involontariamente comico però, come ha spiegato lei stessa su Twitter, la parlata incomprensibile è una scelta voluta, azzeccata o meno che sia.



Piaccia o no Tea Falco, il cast di 1992 è comunque di ottimo livello e i personaggi, nella loro disperata cattiveria, sono tutti fotografati in maniera efficace. Quello che ne esce è il ritratto perfetto di un'epoca, non troppo differente da quella attuale, dominata dai “furbetti”, da chi ottiene le cose in maniera scorretta, sleale, illegale. Ai personaggi sopra citati si aggiunge anche quello interpretato da Guido Caprino, un ex militare che, dopo aver preso a botte degli albanesi, diventa il nuovo paladino della Lega Nord. E viene pure eletto, senza alcun merito o dote particolare. Il bello di 1992, o se non altro di questi primi due episodi appena andati in onda, è anche questo: riflettere sul tema della meritocrazia, o meglio sulla non-meritocrazia italiana.

Questa serie merita tutto il clamore che sta suscitando e gli ascolti record che sta realizzando, record almeno per una serie trasmessa da un canale a pagamento?
Per quanto mi riguarda sì. All'inizio ero scettico, come quasi sempre mi capita con le produzioni italiane, e invece mi ha convinto da subito, come nemmeno Gomorra - La serie era riuscita a fare, considerato che gli scugnizzi mi avevano conquistato soltanto a partire dal terzo grandioso episodio. In attesa di scoprire se anche le puntate successive di 1992 reggeranno sugli stessi livelli, per il momento applaudo all'ottima regia che dà parecchie piste alla gran parte dei film italiani in circolazione. Applaudo a delle sceneggiature capaci di far girare una serie numerosa di personaggi senza finire per essere dispersive, come Game of Thrones tanto per fare un esempio a caso, ma anzi con un'abilità che mi ha ricordato quella del Paul Thomas Anderson di Magnolia. Applaudo alla capacità di mescolare questioni politiche e umane in una maniera più avvincente, tanto per fare un altro esempio a caso, di House of Cards, in cui spesso la noia dei discorsi politici prende il sopravvento, tanto per dire che questa produzione italiana non ha nulla da invidiare ai colossi in onda su HBO o Netflix.


Spettacolare poi la parte musicale, e per un prodotto nazionale è quasi un miracolo, basti pensare all'agghiacciante colonna sonora di una fiction come Braccialetti rossi. A curare le fighissime musiche originali c'è Davide “Boosta” Dileo dei Subsonica, che tra l'altro nella vita reale sta insieme a Miriam Leone. Sarà un caso pure questo?
Oltre al sound del subsonico, c'è anche una splendida commistione tra alto e basso, tra i R.E.M. di “Everybody Hurts” e la Lorella Cuccarini di “Liberi liberi”, un pezzo che a fine visione non vi scollerete più dalla testa e che poi vi ritroverete a canticchiare, e magari pure a ballicchiare, quando meno ve lo aspettate.
Il più grande pregio di 1992 è proprio questo, non solo nella colonna sonora, ma in generale: il suo saper mescolare tv di qualità cinematografica con racconto nazional-popolare adatto al grande pubblico, parlare delle magagne della nostra Storia recente con un piglio internazionale, presentare il trash italico sotto una forma sublime, come fatto anche da La grande bellezza di Paolo Sorrentino e da Le meraviglie di Alice Rohrwacher. Un mix di alto e basso perfetto per rendere le contraddizioni del nostro paese di ieri come di oggi che, fin dalle due prime promettenti puntate, fa subito toccare alla serie livelli altissimi.
E io intanto sogno già una seconda stagione intitolata 1993.
(voto 8/10)

CANNIBAL MUSIC - I DISCHI DI MARZO DA JOVANOTTI A MADONNA

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La rubrica dei dischi del mese continua. È appena il terzo appuntamento, ma è già una delle rubriche più longeve nella Storia di Pensieri Cannibali.
In questa puntata si passa da nomi stra famosi come Jovanotti e Madonna ad artisti leggermente meno conosciuti e più indie-rock come Will Butler degli Arcade Fire e i Modest Mouse, senza dimenticare un pizzico di hip-hop e di elettronica.
Buona lettura e buon ascolto.

Jovanotti “Lorenzo 2015 CC.”

Cioè, figa, ma l'avete sentita l'ultima del Jova? Cioè, sì, quella che passa sempre in radio, quella che ormai l'hanno sentita anche i sordi, sì dai quella...
Sabato.
Sì, Sabato. La danno tutti i giorni della settimana 24 ore su 24 su tutte le stazioni, ma si chiama Sabato. L'avete sentito il testo? Cioè, 'sto qua rimpiange il lunedì, vi rendete conto? Quello sta fuori.
È troppo sabato qui?
E di che si lamenta? È proprio un matto, il Jova. Io vorrei che fosse sempre sabato, altroché.
Se il primo singolo non l'ho proprio capito, mi sono messo ad ascoltare anche il resto del suo ultimo disco per vedere se il Jova tirava fuori delle altre assurdità. E un'assurdità c'è di sicuro: la durata.
Figa, c'ho messo due ore per ascoltarlo, 'sto disco. Non è un modo di dire. Dura 2 ore, davvero! 2 ore e passa. Dentro a “Lorenzo 2015 CC.” il Jova c'ha messo 30 canzoni e io ripenso ai tempi in cui i CD duravano 74 minuti massimo.
Figa, 2 ore e passa della mia vita sono troppe. Mica c'ho tutto il giorno per ascoltare il Jova, ou. Fossi stato in lui, avrei fatto un bel taglione e avrei tenuto solo una decina di pezzi. 30 so' troppi! I brani più smielati per esempio io li avrei segati del tutto. Cioè, che flebo “Le storie vere” e “Ragazza magica”. Ma che è, Jova, vuoi finire anche tu a Sanremo? Ci sono poi troppi echi di Colplay, ad esempio in “Tutto acceso”, “Gli immortali” o “E non hai visto ancora niente”, con tutti quei cori che mica sei allo stadio, Jova, che credi? Meno male che diverse altre canzoni pompano di + nelle casse e vanno di più + nella direzione di uno Stromae italiano.
Un altro pezzone melenso è “Un bene dell'anima”, che è una di quelle ballatone jovanottesche alla “Per te” che se le ascolti con una tipa ci scatta il limone, ma se le ascolti da solo sono una gran depression e quindi figa Jova potevi anche non metterla. Meglio i pezzi più allegri come “L'estate addosso”, che cita “Cucurrucucu” di Battiato e me la sento bene la prossima estate come soundcheck... volevo dire come soundtrack del prossimo spot Vodafone.
E adesso però figa basta. Questo disco non sarebbe neanche male, se solo durasse la metà della metà. Quanto fa, la metà della metà?
Che ne so? So solo che questo disco non so se mi piace o no. So anche che qualche canzone qua e là dell'album me la ascolterò ancora, ma io 2 ore di fila da dedicare al Jova non ce le ho più. Non c'ho tempo da perdere, io. C'ho da giocare a Candy Crush. Jova, non è mica vero che è troppo sabato qui.
(voto 6/10)




Madonna “Rebel Heart”

Che dire, dell'ultimo disco di Madonna, il suo tredicesimo album ufficiale?
La prima volta che l'ho sentito ho pensato: “Che merda!”.
La seconda volta che l'ho sentito ho pensato: “Non mi sbagliavo. È proprio una merda!”.
Poi però l'ho ascoltato varie altre volte e un po' mi sono assuefatto. Resta un disco scarso, con delle produzioni che sembrano scarti di musica house dei primi anni zero, e per una come Madonna, abituata in passato a stare sempre “sul pezzo” e ad anticipare le tendenze musicali questo è un peccato imperdonabile.
C'è poco da fare, la Signora Ciccone non azzecca più un disco da Confessions on a Dance Floor del 2005 e di questo nuovo Rebel Heart l'unico dubbio sta se nel considerarlo superiore o meno rispetto agli ultimi due deludenti (per non dire scandalosi) Hard Candy e MDNA. Forse è un pochino meglio, anche se ascoltando il primo tremendo singolo “Living for Love” non si direbbe: la voce di Madonna suona nasale, fastidiosa, sopra una base che sembra la brutta copia di un pezzo degli Alcazar. E non so se vi ricordate gli Alcazar, spero per voi di no, ma erano quelli di “Crying at the Discoteque” ed erano insopportabili. Nel pop reggaeggiante di “Unapologetic Bitch” Madonna offre poi un'altra prova vocale agghiacciante. Il resto del programma per fortuna migliora le cose. Niente di eccezionale, giusto qualche canzoncina vagamente carina come la spirituale “Devil Pray”, la ballad “Joan of Arc” o la tamarrissima “Bitch I'm Madonna” con Nicki Minaj.
L'impressione data dai primi ascolti quindi era errata e mi devo correggere. Il nuovo disco di Madonna non è una merda. È solo una merdina.
(voto 5/10)

P.S. Un mezzo punto in più Madonna se l'è guadagnato maltrattando Fabio Fazio durante la sua (pessima) intervista a Che tempo che fa.




Prodigy “The Day Is My Enemy”

Il problema del nuovo disco dei Prodigy?
Fondamentalmente è solo uno: non siamo più nel 1997 e il loro sound non suona più molto attuale o nuovo. Detto questo, i Prodigy sanno essere ancora devastanti, basti ascoltare la title track posta in apertura. Se volete innovazione insomma andate a cercarla altrove. Se però volete un'oretta buona di techno-electro-punk sparato a mille capace di farvi venire un piacevole mal di testa, i Prodigy sono ancora la droga migliore in circolazione.
(voto 6,5/10)




Will Butler “Policy”

Gli Arcade Fire stavano diventando un po' troppo cerebrali? O, detto in altri termini, gli Arcade Fire si stavano facendo troppe seghe mentali?
Dopo un dobbio album complesso e ambizioso come Reflektor, Will Butler ha così deciso di esordire in proprio con un lavoro parecchio più essenziale. Il tastierista, bassista, chitarrista e percussionista della band, nonché fratellino di Win Butler, il leader degli Arcade Fire, ha tirato fuori un dischetto dagli influssi new-wave e glam rock senza troppi fronzoli, che non passerà alla Storia ma che se non altro suona piacevole e fresco. Un buon modo per staccare la spina in attesa di lavorare con i suoi amichetti a un nuovo probabilmente ancora più ambizioso disco che magari proverà a essere più lungo persino di quello di Jovanotti.
(voto 6+/10)




Modest Mouse “Stangers to Ourselves”

I Modest Mouse erano tra i paladini della scena indie-rock dei primi anni zero. Quell'epoca che vedeva in Seth Cohen della teen serie The O.C. un modello di riferimento esistenziale essenziale. Sembra passato un secolo da allora e invece no. Loro sono ancora qui e sono tornati più in forma che mai, con il loro primo album da 8 anni a questa parte. 8 anni in cui nella scena indie è successo di tutto e di più e quindi la generazione post-sethcoheniana non li avrà manco mai sentiti nominare, questi Modest Mouse. Un buon modo per riscoprirli o per scoprirli per la prima volta è rappresentato dal nuovo “Strangers to Ourselves”. Nonostante sia il loro sesto disco, suona scoppiettante come un esordio e vanta al suo interno un sacco di bombette niente male come “The Tortoise and the Tourist” e “The Ground Walks, With Time in a Box”. E soprattutto “Lampshades on Fire”, uno dei pezzi indie-rock più fighi degli ultimi tempi. Seth Cohen sarebbe andato fuori di testa ascoltandola.
(voto 7+/10)




Kendrick Lamar “To Pimp a Butterfly”

Nuovo di Kanye West a parte, quello di Kendrick Lamar, da me ribattezzato Anna Kendrick Lamar, era il disco più atteso dell'anno in ambito hip-hop e si può dire che non ha deluso le aspettative. Tutt'altro. “To Pimp a Butterfly” è un lavoro pieno di roba, roba giusta, un suono funk soul molto anni settanta mescolato a un'attitudine tutta moderna. Un album che con un clamoroso gioco di equilibrio riesce a suonare pimp-ante e attuale e allo stesso tempo pare già un classico d'altri tempi. Un gioiello degno dei Fugees dei tempi d'oro e del recente “Black Messiah” di D'Angelo. Imperdibile, e non solo per gli appassionati di musica rap.
(voto 8/10)




Canzone del mese
Florence + The Machine “St Jude”
Se come prima anticipazione ci aveva offerto un pezzo più di impatto come “What Kind of Man”, adesso la rossa Florence ha tirato fuori un incanto di brano rarefatto che sembra uscito da un sogno, “St Jude”. Il nuovo album in uscita a inizio giugno "How Big, How Blue, How Beautiful" si preannuncia quindi sempre più beautiful.

PRETTY WOMAN, ECCO PERCHÉ È UNA FIABA (ANCHE) PER UOMINI

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Pretty Woman
(USA 1990)
Regia: Garry Marshall
Sceneggiatura: J.F. Lawton
Cast: Richard Gere, Julia Roberts, Jason Alexander, Laura San Giacomo, Hector Elizondo, Ralph Bellamy, Hank Azaria
Genere: romcom all'ennesima potenza
Se ti piace guarda anche: Se scappi, ti sposo, Il matrimonio del mio migliore amico, Notting Hill, Il diario di Bridget Jones, Come farsi lasciare in 10 giorni

Gli uomini hanno una percezione profondamente sbagliata di Pretty Woman. Mi ci metto dentro anche io, che non lo vedevo da anni. Da quando ero un bambinetto e Julia Roberts non mi stava troppo simpatica. Poi sarebbero arrivati Erin Brockovich, Closer e I segreti di Osage County e la mia impressione nei suoi confronti sarebbe cambiata, però da ragazzino la identificavo unicamente come la regina delle romcom, l'eterna Pretty Woman. Pensavo che quel film, il suo più celebre, fosse solo una “roba da femmine”. Rivedendolo oggi, posso dire che mi sbagliavo. A 25 di distanza dall'uscita della pellicola, con un leggerissimo ritardo posso dire che mi sbagliavo di grosso.

Pretty Woman è una delle pellicole più amate dal pubblico femminile. Ci sarebbe da chiedersi come mai tante donne si identifichino con una prostituta, ma forse è meglio lasciar perdere. Tutti pensano che sia una specie di fiaba moderna in cui la fanciulla in difficoltà viene salvata dal principe azzurro, bello e ricco. La stessa Vivian Ward/Pretty Woman/Julia Roberts lo mette bene in evidenza all'interno del film. Quando però alla fine Edward Lewis/Pretty Man/Richard Gere le domande cosa succede dopo, Vivian risponde che lei salva lui. Ed è questa la vera chiave di lettura principale del film: Pretty Woman è una splendida fiaba moderna non solo e non tanto per le donne, ma anche e soprattutto per gli uomini.


Il motivo?
Non solo perché Vivian fa tornare umano Edward, sia nei rapporti sentimentali, che in quelli di lavoro, ma anche perché Pretty Woman è la donna ideale.
Il sogno di ogni uomo, o almeno di molti uomini, o almeno il mio, non è quello di stare insieme a una prostituta. L'idea che vada con altri non è accettabile. Il sogno di un uomo è stare con una ex prostituta, una donna che abbandona il mestiere per diventare la sua zoccola personale ed esclusiva.
Tra l'altro Pretty Woman inventa una professione nuova. Quello della prostituta è il mestiere più antico del mondo, è vero, ma la escort, quella che offre un servizio come accompagnatrice, anche all'infuori della semplice prestazione sessuale, è una figura che è stata sdoganata nell'immaginario collettivo proprio da questo film firmato da Garry Marshall. Pretty Woman è apparentemente una romcom innocua, mentre in realtà è un'istigazione, nemmeno troppo velata, alla prostituzione e allo sfruttamento della prostituzione.
Di certo Berlusconi, che non so perché mi è venuto in mente, un'occhiata attenta al film gliel'avrà data. La scena in cui il direttore dell'albergo spaccia Vivian per la nipote di Edward credo che possa avergli ispirato una certa idea...


Se da un punto di vista sessuale Vivian/Julia Roberts è disinibita e non si tira mai indietro e questo è un notevole punto a suo favore, sono però anche altre le caratteristiche che la rendono la donna perfetta.
Innanzitutto è appassionata di motori, al punto da avere molta più confidenza nella guida della Lotus con cambio manuale (gli americani poveretti sono fissati con il cambio automatico) ben più di Edward/Richard Gere. Se fosse pure patita di calcio e bevesse birra, sarebbe proprio il massimo. Comunque lo champagne lo beve volentieri e il calcio nel film non c'è, ma solo perché siamo pur sempre negli Stati Uniti e del calcio non gliene frega niente a nessuno, soprattutto nel 1990.
Siamo nel 1990, e si vede. La pellicola è infatti deliziosamente in bilico tra i due decenni: da una parte è il canto del cigno dello yuppismo 80s, dall'altra rappresenta il nuovo modello di romcom cui in molti si ispireranno nel corso dei 90s e ancora oggi. Si veda Cinquanta sfumature di grigio che, più che una fan fiction di Twilight, sembra una rielaborazione sadomaso di Pretty Woman.

Vivian/Julia Roberts inoltre è rossa di capelli. A me personalmente le rosse fanno andare fuori di testa, ma se per caso non fosse il vostro genere no problem, all'occasione lei indossa anche una parrucca bionda. In più, nella vasca da bagno ascolta “Kiss” di Prince, non chessò Baglioni o Ramazzotti o i New Kids on the Block, e quindi ha pure dei buoni gusti musicali. Inoltre è una tipa simpatica, alla mano, fisicamente è una gran bella sventola nonostante abbia una bocca enorme, aspetta il suo uomo nuda in camera e gli fa pure il bagnetto. In pratica fa da moglie, da madre e da amante tutto allo stesso tempo.

"Julia, era dai tempi in cui giocavo con le paperelle che non mi divertivo così tanto a fare il bagno."

Vedete?
Pretty Woman è la donna ideale. Edward Lewis/Richard Gere riuscendo a toglierla dalla strada e a farla diventare la sua tipa realizza il sogno di ogni uomo, o almeno di molti uomini, o almeno il mio.
(voto 7,5/10)

CE NE VANNO DI 50 CENT PER POTER DIVENTARE RICH

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Get Rich or Die Tryin’
(USA, Canada 2005)
Regia: Jim Sheridan
Sceneggiatura: Terence Winter
Cast: 50 Cent, Joy Bryant, Terrence Howard, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Omar Benson Miller, Viola Davis, Tory Kittles, Serena Reeder
Genere: hip-hop
Se ti piace guarda anche: Empire, 8 Mile, Notorious, Hustle & Flow - Il colore della musica, Get On Up, Ray

Yo yo, raga, oggi si parla di rap. Si parla di un rapper. Si parla di 50 Cent.
Mani su se volete un post su 50 Cent! Mani su se volte un post su 50 Cent!

Hey, che sono tutte queste mani giù?
È inutile che fate così gli antipatici. Il post tanto ve lo beccate lo stesso.
Bella zio, vai con la base.

Questa è la storia di 50 Cent
uno che gli hanno sparato facendogli saltare tutti i dent
poi s’è tirato su e s’è ripigliato a suon di rap
e c’ha fatto un botto di ca$h più del Pirata Johnny Depp

C’è stato un momento, invero parecchio breve, nella storia dell’hip-hop recente, in cui 50 Cent sembrava essere destinato a salvare la scena e a diventare uno dei più grandi di tutti i tempi. Lanciato dall’amico Eminem, Curtis Jackson in arte 50 Centesimi ha fatto subito il botto con il singolo spacca locali e muovi culi In Da Club, un’autentica bomba prodotta da Dr. Dre che l’ha lanciato subito in orbita.



Con l’album d’esordio Get Rich or Die Tryin’ le cose gli sono andate ancora meglio e il suo è diventato il nome di punta del rap mondiale subito dietro a quello di Marshall Mathers. 50 ha realizzato così il suo sogno di diventare ricco da far schifo anziché vivere da schifo, ha fondato una sua etichetta discografica e un suo gruppo, la G-Unit. Il mondo si è gettato ai suoi piedi e con il secondo album The Massacre ha fatto un altro massacro a livello di vendite, grazie alla super hit super sexy Candy Shop.
50 Cent più che un semplice rapper era diventato un marchio e addirittura, seguendo ancora una volta la scia di Eminem con il suo 8 Mile, ha persino avuto un film tutto dedicato alla sua vita. Alla sua vita prima di diventare ricco e famoso. Una esistenza nel ghetto, fatta di stenti, di un’infanzia senza la madre, una spacciatrice uccisa in circostanze misteriose, e di un padre di identità sconosciuta. Quindi lo spaccio, la malavita, le brutte conoscenze, le rivalità tra gang, la galera, la drammatica sparatoria che l’ha ridotto in fin di vita…
Ci si può domandare quale sia l’effettiva importanza di 50 nella scena musicale attuale. Di certo non è stato in grado di lasciare un segno come il suo “tutor” Eminem. Ciò nonostante la storia di Curtis Jackson è di quelle perfette per essere raccontate su pellicola, una parabola riuscita di come si possa emergere dal ghetto e diventare una superstar di fama mondiale. Prendendo elementi dalla vera biografia del rapper e romanzandoli un poco, con la sapiente produzione di Mtv Movies ne è uscito un film che è un biopic musicale, ma è anche una storia criminale, ha un pizzico di romanticismo e di buoni sentimenti e insomma è come i primi due album di 50 Cent: non proprio memorabili, però con tutti gli ingredienti al posto giusto per risultare più che godibili.


La pellicola, come è ovvio, celebra il suo protagonista, un ragazzone timido e di poche parole che grazie alla musica riesce a trovare la sua via, superando avversità mica da poco. 50 ne esce quindi come rapper duro e puro, che viene dalla strada, epperò è anche un buono, uno che pensa alla famiglia, rispetta le donne e insegue l’American Dream.
L’operazione rischiava di diventare una sterile autocelebrazione di una rap superstar e in parte lo è. Per fortuna però riesce ad essere anche una pellicola vera e propria, una bella storia raccontata con mano sapiente da un Jim Sheridan a suo agio con il gangsta-movie. Jim Sheridan è un irlandesone del 1949 coi capelli bianchi, uno esperto in pellicole sulla sua terra, da Il mio piede sinistro a Nel nome del padre, eppure con un'ambientazione e dei personaggi a lui del tutto alieni se l’è cavata benino. Di sicuro meglio che con il genere thriller-horror-ghost-story affrontato nel soporifero Dream House. D’altra parte anche Curtis Hanson, classe 1945 e un film ultra classico e ultra retrò come L.A. Confidential alle spalle, si è trovato alla grande con la materia hip-hop di 8 Mile.
Il problema del film Get Rich or Die Tryin’, così come di 50 Cent nei confronti di Eminem, è proprio quello di perdere nettamente la sfida con l’illustre predecessore. In 8 Mile le rap battle diventavano un terreno di scontro ad alta tensione drammaturgica, come in una pellicola sul pugilato, e davano vita a una serie di scene cinematograficamente notevoli. In Get Rich mancano invece dei momenti altrettanto memorabili e il film si limita a essere un diligente e ben realizzato biopic, in cui 50 Cent risulta piuttosto credibile nella parte di 50 Cent.

"Hey Terrence, ma in Empire che fai? Vuoi fregarmi il mestiere da rapper?"
"E tu qui che fai? Cerchi di rubarmi il posto da attore?"
"Nah, tranquillo, tanto non sono capace a interpretare nessuno a parte me stesso."

E ora? 50 Cent che fine ha fatto?
Dopo l’enorme successo dei primi due album, alla terza difficile prova il rapper è rimasto scottato dal confronto con un altro gigante. Non Eminem, questa volta, bensì Kanye West. Nel 2007, il suo terzo lavoro Curtis è uscito nella stessa settimana di Graduation. Inutile dire che pubblico e critica sono stati tutti dalla parte di Kanye e 50 ne è uscito parecchio ridimensionato, tanto che nel 2009 il suo quarto album Before I Self Destruct non se l'è filato più nessuno e il titolo è sembrato tristemente premonitore: un’autodistruzione. Il suo ultimo disco Animal Ambition del 2014 è andato ancora peggio. Manco i fan più accaniti l'hanno preso in considerazione.

Non piangete troppo per lui, comunque, perché Curtis Jackson rimane sempre pieno di soldi, prosegue nella sua carriera di attore (non molto convincente, a dire il vero, si veda Twelve o qualche filmaccio action in cui è comparso) e sta preparando il grande ritorno (sarà davvero grande?) sulle scene musicali, con il nuovo album Street King Immortal previsto in uscita nel corso dell'anno.
L’impressione però è che 50 Cent quello che aveva da dire l’abbia già detto e la sua storia l’abbia già raccontata in questo Get Rich or Die Tryin’. La storia di uno che s’è beccato 9 proiettili, di cui uno è andato a perforargli la lingua, ed è riuscito a trasformare il suo difetto di pronuncia nel tratto distintivo dei suoi rap. Artisticamente non sarà poi diventato il più grande dell’hip-hop mondiale, ma già solo per il fatto di essere un survivor merita respect. E se vi sembra poco, siete proprio dei brutti bruti insensibili come nemmeno 50 Cent:
uno che fa tanto il duro gangsta rap
poi da questo film ne esce dolce come una crepes
(voto 6/10)

Questo post partecipa all'iniziativa Black Power Day ottimamente organizzata da Alessandra di Director's Cult, una giornata tutta dedicata a post su personaggi di colore e a film a tematica black. All'evento partecipano anche i seguenti black blog:

Bollalmanacco
Non C'è Paragone
Recensioni Ribelli
Mari Red's Room
Scrivenny
White Russian
Prevalentemente Anime e Manga
Director's cult
Solaris


A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT (E NON È UNA SQUILLO)

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A Girl Walks Home Alone at Night
(USA 2014)
Regia: Ana Lily Amirpour
Sceneggiatura: Ana Lily Amirpour
Cast: Sheila Vand, Arash Marandi, Marshall Manesh, Mozhan Marnò, Dominic Rains, Milad Eghbali, Reza Sixo Safai
Genere: iran-condo
Se ti piace guarda anche: La leggenda di Kasper Hauser, Persepolis, Lasciami entrare, I gatti persiani

A girl walks home alone at night. Una ragazza di notte torna a casa da sola...
E allora?
È il caso di farci un film sopra? Cosa c'è di tanto strano?


C'è di strano che la pellicola è ambientata in Iran, in una specie di città fantasma intitolata Bad City. Per quanto questa sia una versione un po' fumettistica della realtà, siamo pur sempre in Iran, un paese con una concezione delle donne ancora alquanto antiquata. Roba che tipo una ragazza non può stare da sola nella stessa stanza con un ragazzo, a meno che non sia suo marito. Uno scandalo, una vergogna...
Oddio, avessi una figlia femmina non so se la penserei così, però non avendola dico che è uno scandalo, una vergogna!


L'Iran di oggi è rappresentato dalla regista esordiente Ana Lily Amirpour con un bianco e nero magnifico. Una decisione che può essere letta sotto due luci differenti. Da una parte una mera scelta stilistica fighetta, che si accoda al b/n sfoggiato da altri film indie recenti come Frances Ha, o meno recenti come Clerks - Commessi. Dall'altra invece una mossa ben precisa per rappresentare l'Iran attuale come l'America degli anni cinquanta, si veda anche il simil-James Dean protagonista maschile.

"James Dean chiii?"

L'America anni '50, o andando ancora più indietro nel tempo pure il Wecchio West, non a caso il film è stato venduto dalla campagna marketing come “The first Iranian vampire Western”. Vampire? E che c'entrano i vampiri?


La seconda cosa strana di questa girl che walks home alone at night è che è una vampira. Eh sì. Nel 2015 vuoi fare un film senza vampiri?
Negli ultimi tempi il tema dei succhiasangue è stato vampirizzato, è proprio il caso di dirlo, più che mai. Dagli ambienti mainstream, con la popolare quanto spernacchiata saga di Twilight, e pure da quelli più alternativi. Qui siamo decisamente nella seconda categoria, da qualche parte tra lo svedese Lasciami entrare e Solo gli amanti sopravvivono di Jim Jarmusch, soltanto girato con un elegante b/n alla Dead Man/Ida. Come questi film citati, si tratta di una visione che scorre lenta, a tratti molto lenta, ma che è capace di regalare momenti di poesia e di bellezza notevoli. A un livello di pura forma, di piacere estetico, A Girl Walks Home Alone at Night è una delle cose più goduriose viste di recente, insieme agli scatti osé di Jennifer Lawrence.


Uno spettacolo per gli occhi, e pure per le orecchie. La variegata e stramba colonna sonora (non semplice da trovare ma che potete ascoltarvi su Spotify) regala infatti varie perle, con vertice nella splendida scena sulle note new wave di “Death” dei White Lies, ma anche con alcuni ottimi pezzi in lingua persiana, misti ad atmosfere alla Ennio Morricone che fanno tanto western e tanto Quentin Tarantino.
Nonostante al suo interno si possano rintracciare riferimenti vari al cinema di ieri quanto di oggi, A Girl Walks Home Alone at Night cammina con le sue gambe ed è dotata di una sua specifica personalità, ma...

Se non sto gridando al Capolavoro assoluto, come qualcuno Oltreoceano ha fatto, c'è un ma. Il film è straordinario a livello visivo, e per un amante della pura forma come me ciò è un pregio enorme, però in quanto a contenuti c'è più da discutere. La pellicola è un atto d'accusa nei confronti di una società maschilista come quella iraniana e su questo non ci sono molti dubbi. La sua critica resta però piuttosto in superficie e non va a scavare un granché. Probabilmente perché non era intenzione dell'autrice Ana Lily Amirpour una che, un po' come il danese Nicolas Winding Refn, ha un grande occhio, ma come sceneggiatrice ha ancora ampi margini di miglioramento. Il suo film presenta dei tratti fumettistici e quindi la costruzione dei personaggi è piuttosto bidimensionale. Quella di non andare troppo in profondità può perciò essere vista come una scelta ben precisa. Così come i dialoghi scarni per non dire quasi del tutto assenti lasciano lì per lì un pochino contraddetti, solo che andandoci a pensare è pure questa una decisione dell'autrice, quella di voler fare una pellicola d'altri tempi, quasi un film muto in b/n, sebbene non in una maniera radicale come The Artist o Blancanieves. Si avvicina semmai più dalle parti dell'italiano La leggenda di Kasper Hauser virato in chiave Sundance style.

Già pronto il sequel: A Boy Walks Home Alone at Night.

Per quanto sia bello da vedere (e da ascoltare), A Girl Walks Home Alone at Night lascia con una sensazione di incompiutezza. La regista Ana Lily Amirpour ha diretto un lavoro notevole, eppure in futuro potrà fare ancora di meglio, soprattutto se si troverà con alle spalle una storia più approfondita e con dei personaggi dotati di un maggior spessore. Sul risultato complessivo ha ancora da lavorare, ma di una regista capace di girare alcune scene singolarmente tanto affascinanti e di regalare lampi di grande cinema del genere di certo sentiremo ancora parlare. Magari la prossima volta però è meglio se non torna a casa da sola, ma si fa accompagnare da qualcuno, preferibilmente da un bravo sceneggiatore.
(voto 7/10)

GET ON UP - LA STORIA TRANQI FUNKY DI JAMES BROWN

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Get on Up - La storia di James Brown
(USA, UK 2014)
Regia: Tate Taylor
Sceneggiatura: Jez Butterworth, John-Henry Butterworth
Cast: Chadwick Boseman, Nelsan Ellis, Viola Davis, Lennie James, Dan Aykroyd, Fred Melamed, Craig Robinson, Octavia Spencer, Jill Scott, Aloe Blacc, Allison Janney, Tika Sumpter
Genere: funky
Se ti piace guarda anche: Ray, Cadillac Records, The Blind Side, Jersey Boys

C'è un sacco di gente che odia i biopic. Soprattutto in questo periodo in cui un buon 50% delle pellicole nelle sale e il 99% dei film nominati agli Oscar sono tratti da storie vere o quasi. Per quanto il genere si stia effettivamente inflazionando e per quanto ciò dimostri come a Hollywood e dintorni le idee originali siano sempre più una rarità e quindi è meglio prendere ispirazione dalla realtà, io non posso fare a meno di guardarli. Mi farei un film biografico in vena al giorno. Per me quella con il biopic è una delle sfide più impegnative con cui possa confrontarsi un regista. Mettere la vita di un uomo dentro un film. Vi sembra un'impresa semplice?
Grande il rischio, grande la ricompensa. Così come può essere grande la caduta.

Una pellicola biografica non è una sfida tosta soltanto per registi e sceneggiatori, ma pure per chi si trova a doverle giudicare. Nel giudizio rientra sì la qualità cinematografica, però non si può prescindere nemmeno da un confronto con l'uomo/la donna protagonista. Quando c'è di mezzo un biopic, è difficile capire quali siano i reali meriti artistici da attribuire al film e quali siano invece quelli del personaggio raccontato. Tutto questo per dire che le pellicole biografiche, ancora più di altri generi cinematografici, rappresentano sempre un'esperienza particolarmente soggettiva.


Dopo questo barboso sermone introduttivo, veniamo a parlare di Get on Up, il biopic dedicato a James Brown che al suo interno contiene un po' tutti i pregi e i difetti riscontrabili nei lavori biografici.
La domanda fondamentale cui il regista di un biopic deve rispondere è: sono riuscito a mettere dentro al mio film l'anima del personaggio raccontato? In questo caso specifico, Get on Up è una pellicola con dentro molta musica soul, ma ha anche catturato la vera soul di James Brown?
Quella che emerge dal film è una figura molto conflittuale, dotata di una grande forza vitale, di una carica irresisitibile che a volte si dimostra contagiosa e altre si rivela distruttiva. James Brown era una persona capace di illuminare le persone al suo fianco, ma più spesso le oscurava. Ciò che ne è venuto fuori è il ritratto di un uomo parecchio egocentrico ed egoista. Un aspetto che lo fa risultare un po', anzi diciamo parecchio, stronzetto e che però allo stesso tempo si è rivelata una virtù fondamentale per la sua carriera. La scelta di concentrarsi soprattutto sugli aspetti più negativi del suo carattere è interessante, considerando che stiamo parlando dell'uomo di brani positivi come “I Feel Good”. Nonostante ciò, la pellicola non riesce a scavare fino in fondo in questa cattiveria esistenziale. Ogni tanto il regista Tate Taylor, quello di The Help, offre dei momenti visionari potenzialmente affascinanti per farci entrare davvero dentro al personaggio, poi però tira indietro la mano, come se si ricordasse di essere alle prese pur sempre con un biopic tradizionale. Proprio come James Brown, anche il film stesso sembra essere in conflitto con se stesso, tra la tradizione e il tentativo di essere qualcosa di differente.

Riuscita solo in parte pure la scelta di raccontare la vita del padrino della musica soul con una narrazione non lineare, attraverso salti temporali repentini. Si parte dal James Brown fuori di brocca degli anni '80, poi lo si ritrova nel Vietnam anni '60, quindi lo si vede bambino alla fine degli anni '30. Il problema del film è di voler raccontare tutto e molti argomenti, come appunto il Vietnam oppure l'omicidio di Martin Luther King, sono giusto accennati e non trovano uno spazio sufficiente. È una scelta che ricorda un po' quella di The Butler - Un maggiordomo alla Casa Bianca, altro biopic convincente solo a metà che affrontava un periodo di tempo troppo esteso e presentava gli stessi pregi/difetti.

I continui passaggi tra un'epoca e l'altra e tra fasi differenti nella vita di James Brown sono alternati in una maniera che a volte ha un senso mentre altre volte sembra più che altro casuale, ma in ogni caso sono mixati insieme con buon ritmo, almeno nella prima parte, e per un film dedicato al re della musica funky questo è un merito non da poco. Peccato che le 2 ore e 20 di durata siano eccessive e in alcune parti il ritmo cali paurosamente. E questo per un film dedicato al re della musica funky è un demerito non da poco.
Convince poco anche la scelta di mostrare un James Brown che ogni tanto infrange la quarta parete e si rivolge direttamente agli spettatori, in una maniera analoga a quanto fanno i protagonisti delle serie tv House of Lies e House of Cards. Solo che questa scelta non viene utilizzata fino in fondo ma solo in maniera occasionale, risultando più fastidiosa che efficace.

"Certo che ero proprio un tamarro!"

Tutto il film è così. Presenta degli spunti ottimi, ma non riesce a renderli in una maniera efficace. Vuole essere un biopic di rottura rispetto a quelli del passato e finisce invece per apparire una copia in tono minore di Ray. Discorso simile per il protagonista Chadwick Boseman, totalmente calato nella parte sul palco e capace di ricreare i movimenti e i passi di ballo di James Brown in una maniera super stilosa, meno efficace invece nei momenti più drama del film. Nell'ottimo cast di contorno in cui ben figurano Viola Davis di How to Get Away with Murder, Lennie James di Line of Duty e Octavia Spencer di The Help, più le comparsate di cantanti R&B come Jill Scott e Aloe Blacc, a impressionare è soprattutto Nelsan Ellis, il Lafayette di True Blood qui quasi irriconoscibile e tremendamente efficace nella parte del migliore, e forse unico vero amico di James Brown.

"Hey bella parrucca, Lafayette."
"Anche la tua, James!"

Il mio giudizio del film è sospeso a metà tra Bene e Male, forse perché sospeso a metà è anche il mio giudizio nei confronti di James Brown. Alcuni suoi pezzi sono proprio fighi, la sua carica sul palco era irresistibile, eppure non c'è una sua canzone che mi faccia davvero venire i brividi, forse giusto “It's a Man's Man's Man's World”. Anche dopo la pellicola la mia opinione su di lui non è cambiata. È un personaggio fenomenale che ha influenzato un sacco di artisti che mi piacciono, però allo stesso tempo la sua musica non la sento davvero mia. Il film è uguale. A tratti è intrigante, ma non è mai riuscito a trascinarmi fino in fondo e dalla pellicola non traspare un reale trasporto di Brown nei confronti della musica, vissuta più come una professione che come una passione. Colpa della pellicola? Colpa del personaggio?
Misteri destinati a non trovare mai una vera risposta, tipici di ogni biopic che si rispetti. Quel che è certo è che questo film, pur mettendo al suo interno tutto ma proprio tutto di James Brown, si è dimenticato giusto di inserire la sua anima. Un difetto mica da poco, per una pellicola sul Godfather of Soul.
(voto 6/10)

A MOST VIOLENT YEAR, UN ANNO E UN FILM MOLTO VIUU-LEEENTI

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A Most Violent Year
(USA 2014)
Regia: J.C. Chandor
Sceneggiatura: J.C. Chandor
Cast: Oscar Isaac, Jessica Chastain, David Oyelowo, Elyes Gabel, Catalina Sandino Moreno, Albert Brooks, Alessandro Nivola, Christopher Abbott, Pico Alexander
Genere: viu-lento
Se ti piace guarda anche: Margin Call, All Is Lost, Scarface, Due giorni, una notte

Non so proprio cosa passi per la testa al regista J.C. Chandor quando sceglie il tema da affrontare in un suo film. Il suo primo lavoro, Margin Call, è per me una delle migliori pellicole d'esordio degli ultimi anni. Margin Call parla di come l'attuale crisi economica è cominciata, a causa dei gomblotti architettati nel 2008 in quel di Wall Street. L'argomento finanziario può non interessare tutti, io non ne sono certo un patito, eppure il film riesce a spiegare tutto come se parlasse “a un bambino o a un golden retriever”. Inoltre, per quanto il mondo della finanza possa entusiasmare o meno, tratta di una questione con cui tutti abbiamo a che fare ancora oggi, perché la crisi ci ha toccato tutti. E con toccato intendo proprio in senso sessuale, visto che ce l'ha messo in quel posto.

Nel suo secondo film All Is Lost, il regista J.C. Chandor ha invece deciso di parlare di uomo anziano da solo in mezzo al mare che si fa un viaggetto in barca. Uno di quegli argomenti da: “E chissenefrega?” gridato ai quattro venti. Se il tema non sembrava dei più appealing, il risultato era persino più noioso delle aspettative. All Is Lost ha così trionfato con grande facilità lo scorso anno nella categoria Valium Award di Pensieri Cannibali come pellicola più pallosa del 2014. E se la giocherebbe anche in una classifica dei film più noiosi di sempre.

Arrivato al suo terzo film, J.C. Chandor ha scelto un altro argomento da: “E chissenefrega?” assoluto. A Most Violent Year ci fionda indietro nel 1981, un anno molto problematico per un uomo che gestisce una ditta di camion che si occupano di trasportare carburante a New York City.
State pensando: “E chissenefrega?”.
Come darvi torto?
Se anche questa volta il tema non è troppo irresistibile, posso però specificare che il modo in cui è affrontato è più interessante rispetto al suo film precedente. Non che ci andasse molto. Nonostante questo, Chandor non riesce a catturare l'attenzione come ai tempi del suo film d'esordio.


Quindi com'è, questo suo nuovo A Most Violent Year? Più – speriamo – Margin Call o più – Dio, ti prego, no!– All Is Lost?
In realtà, per quanto all'apparenza possa sembrare distante tra entrambi, è un mix tra i due. Di Margin Call c'è la tematica finanziaria, con un'ambientazione temporale che passa questa volta dall'ultima crisi economica al punto più alto del capitalismo americano: gli anni Ottanta. Dal suo film d'esordio J.C. Chandor riprende inoltre la capacità dei dialoghi di esprimere concetti complessi in poche parole.
Purtroppo, ci sono anche alcuni aspetti che ricordano il suo precedente insostenibile All Is Lost, soprattutto uno: la lentezza. A Most Dangerous Year è un film dai ritmi parecchio sonnacchiosi. Diciamo che ci mette un pochino a carburare, tipo un'ora e, anche quando ha qualche accelerazione, in concomitanza soprattutto con qualche improvvisa esplosione di viuuleeenza, subito dopo rallenta. Non ci troviamo di fronte a una visione noiosa quanto All Is Lost, meglio ribadirlo, eppure è una pellicola che non riesce mai a coinvolgere/sconvolgere del tutto. È come se procedesse per quasi tutto il tempo con il freno a mano tirato. Si può apprezzare il fatto che il film non cerchi mai la scena di facile impatto, o l'applauso da Oscar, non a caso l'Academy l'ha ignorato del tutto. Allo stesso tempo è un film freddo. BRRR, troppo freddo.


J.C. Chandor resta allora, almeno per il momento e almeno a mio modesto giudizio, una promessa non mantenuta. È un pilota che ha esordito con un'annata straordinaria e poi si è messo a girare lento. Qui in A Most Violent Year tra l'altro si trovava a guidare un'auto potentissima. Il film vanta infatti un cast di primo piano. Il protagonista Oscar Isaac, il cantante folk sfigato di A proposito di Davis, appare qui come un giovane Al Pacino, almeno sul piano fisico, mentre come recitazione fa un'ottima figura ma non è ancora a quel livello. È nel suo volto che viene fuori in tutta la sua forza il dramma esistenziale del suo personaggio, che per certi versi mi ha ricordato quello di Marion Cotillard in Due giorni, una notte.

Jessica Chastain poi... Su Jessica Chastain ormai credo di aver esaurito ogni possibile complimento. A ogni film, con ogni ruolo, riesce a reinventarsi, a sembrare qualcuno differente. Qui appare in versione bionda nei panni della moglie del protagonista Oscar Isaac, ma è una bionda parecchio distante da quella svampita che le era valsa la nomina agli Oscar con The Help e che avrebbe meritato un'altra candidatura pure quest'anno. Qui è una donna determinata, la vera forza trascinatrice del film, che però le riserva uno spazio troppo piccolo.

"Mi preferite in versione nerd?"

"O con le zinne in mostra?"

"La seconda, Jessica. La seconda!"

Così come avrebbe meritato di più anche David Oyelowo, lo strepitoso protagonista di Selma che qui, pur nelle poche scene a disposizione, conferma di essere uno dei volti nuovi più interessanti in circolazione.

"Agli Oscar hanno nominato Bradley Cooper al mio posto, te ne rendi conto?"
"E al mio post hanno nominato Meryl Streep nel musical più agghiacciante di sempre, te ne rendi conto?"

La sensazione è quella di una pellicola raffinata, molto elegante (grazie anche agli abiti firmati Armani), con una colonna sonora curiosa che spazia da Marvin Gaye a “Una lacrima sul viso”. Un film potenzialmente grande che però non riesce mai a schiacciare sul pedale dell'acceleratore fino in fondo. Sarà anche che lo spunto di partenza non è che fosse proprio il massimo. È vero che la vicenda assume un valore universale, però a chi frega davvero qualcosa della storia di un proprietario di una ditta di camion e delle difficoltà che ha affrontato nel 1981?
Credo nemmeno a chi nel 1981 è stato il proprietario di una ditta di camion.
(voto 6,5/10)

GESÙ, GIUSEPPE E SILS MARIA, KRISTEN STEWART SA RECITARE!

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Sils Maria
(Francia, Svizzera, Germania, USA, Belgio 2014)
Titolo originale: Clouds of Sils Maria
Regia: Olivier Assayas
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Cast: Juliette Binoche, Kristen Stewart, Chloe Grace Moretz, Johnny Flynn, Angela Winkler, Lars Eidinger, Hanns Zischler, Claire Tran, Brady Corbet
Genere: metacinematografico
Se ti piace guarda anche: Maps to the Stars, Birdman, Demonlover, Il mistero dell'acqua

Ci sono cose che uno non si immaginerebbe mai di dire in tutta la sua vita.
Cose tipo: “Maurizio Gasparri ha detto proprio una frase intelligente!”.
Oppure tipo: “Che bello l'ultimo film di Paolo Ruffini!”.
O ancora tipo: “Kristen Stewart è davvero un'ottima attrice!”.

Quanto alle prime due, niente è cambiato e credo non cambierà mai. La terza invece mi sono ritrovato con mia somma sorpresa a gridarla, al termine della visione di Sils Maria. Che poi è un'ingiustizia, giudicare un'attrice, o in generale un artista, soltanto per il suo lavoro più noto. Come se Kristen Stewart fosse Bella Swan. Come se il fatto che Twilight sia una cagata pazzesca implichi che la colpa sia della Stewart. Come se il fatto che in quella serie di film reciti sempre peggio, fino a raggiungere in Breaking Dawn - Parte 1 e 2 livelli agghiaccianti, significhi per forza che come attrice non valga niente. O come se il fatto di aver recitato in una saghetta vampiresca commerciale significhi che sia insignificante come il personaggio che ha portato sul grande schermo.

In esclusiva solo per Pensieri Cannibali, Kristen Stewart ride per la prima (e a oggi unica) volta in vita sua.

È anche su questo che riflette Sils Maria. Su questo e su un sacco di altre cose, visto che è uno dei film più densi e ricchi di significati che mi sia capitato di vedere da parecchio tempo a questa parte.
Sils Maria è una pellicola molto metacinematografica, incentrata sul mondo del cinema e del teatro e sulla recitazione in generale. Un film se vogliamo radical-chic e autoreferenziale, fatto apposta per piacere agli appassionati di cinema, meno magari ai fruitori occasionali. Un lavoro che in qualche modo si aggiunge alle riflessioni sul mondo attoriale fatte, in maniere molto differenti tra loro, dal film premio Oscar Birdman, o dal corrosivo Maps to the Stars di David Cronenberg, o anche dal simpatico thriller-horrorino Open Windows con Sasha Grey ed Elijah Wood. Anche qui si parla di vita di attori e del rapporto che hanno con i loro personaggi.

Nel caso di Sils Maria, a essere messa in scena è la vita di Maria Enders, un'attrice francese cresciuta con il teatro e con il cinema d'autore che però poi si è trovata ad avere a che fare anche con la macchina hollywoodiana. Un percorso un po' inverso rispetto a quello del Michael Keaton di Birdman, ma pure in questo caso possiamo vedere riflessi piuttosto evidenti della carriera dell'attrice che la impersona, ovvero Juliette Binoche. Va detto in ogni caso che la Binoche, rispetto al suo personaggio in Sils Maria, nonostante qualche film hollywoodiano o vagamente commerciale nel corso della sua carriera non ha mai ceduto del tutto ai blockbusteroni. Al punto da aver rifiutato il ruolo di protagonista femminile in Jurassic Park per girare Gli amanti del Pont-Neuf di Leos Carax e la trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski.


In Sils Maria, la sua Maria Enders è un'attrice di mezza età che si reca a Sils Maria, un paesino svizzero in cui si celebra il regista che l'ha lanciata e che tra l'altro, per una sfortunata coincidenza, muore proprio in quei giorni e quindi l'evento si trasforma in un omaggio postumo nei suoi confronti. La diva Maria Enders partecipa a questa trasferta svizzera che a tratti sembra quasi una gita scolastica insieme all'assistente, una Kristen Stewart ENORME. Ebbene sì, l'ho detto, e tra l'altro questa parte le è valsa il meritato premio di miglior attrice non protagonista ai César, gli Oscar del cinema francese. In mezzo agli affascinanti paesaggi alpini, Maria Enders si troverà a prendere in considerazione l'idea di riprendere il ruolo che l'aveva lanciata una ventina d'anni prima, in una nuova versione teatrale in cui però è chiamata a interpretare l'altra protagonista femminile della storia, ovviamente questa volta quella più anziana.

Il film a questo punto si gioca le sue numerose altre carte. Non solo quelle della vita di un'attrice, non solo quella del rapporto intimo con il personaggio che le ha regalato la popolarità, ma anche il confronto con il tempo che passa e con un personaggio differente, uno con cui non avrebbe mai pensato di potersi cimentare e invece...
Invece le cose cambiano. Gli attori cambiano. La percezione che abbiamo di loro cambia. Kristen Stewart può passare dall'essere qualcosa di inguardabile come negli episodi conclusivi della serie di Twilight all'essere un'attrice valida, come notato di recente in Still Alice, fino a poter essere considerata addirittura un'ottima attrice. Qui in Sils Maria Juliette Binoche è brava, ma la Stewart è bravissima, anche perché la prima è chiamata a impersonare una variante di quella che può essere la sua vera vita, mentre la Stewart si trova a interpretare quella che può essere la vita di una sua assistente. E tra l'altro in questo film esibisce un fondo schiena da paura. Pure questo non credevo l'avrei mai detto.


Il rapporto tra i loro due personaggi è davvero complesso e articolato. La si potrebbe definire una relazione di tipo lesbo, ma sarebbe limitativo e forse non del tutto corretto. Innanzitutto perché non assistiamo purtroppo a lesbicate epocali come quelle tra Natalie Portman e Mila Kunis ne Il cigno nero, e poi perché il loro rapporto è un po' uno specchiarsi della “vecchia” Binoche in una versione giovane di se stessa, senza dimenticare che a complicare ulteriormente il quadro ci sono i due personaggi della finzione teatrale, con Maria Enders/Juliette Binoche che prova le battute con la sua assistente Valentine/Kristen Stewart e quindi la loro relazione può essere considerata davvero un casino colossale.

Un casino bellissimo, per una delle pellicole recenti più stratificate e complesse in cui vi possa capitare di imbattervi. Il fatto che sia una pellicola parecchio incasinata non significa comunque che non sia fruibile. Merito del coinvolgimento emotivo che le due protagoniste riescono a creare e merito della regia parecchio efficace di Olivier Assayas, che ci regala scene di notevole bellezza come quella del viaggio in auto di Kristen Stewart sulle note di “Kowalski” dei Primal Scream, una delle canzoni più fighe di sempre, o quelle con protagoniste le nuvole serpentineggianti svizzere. Merito inoltre di uno sguardo ironico al dorato mondo di Hollywood che riesce ad alleggerire la pesantezza delle tematiche affrontate ed è qui che gioca un ruolo fondamentale il personaggio di Chloe Grace Moretz, terza grande interprete femminile di questo Sils Maria. Un film capace di scaraventare lo spettatore per due ore dentro la vita di un'attrice e in mezzo ai paesaggi svizzeri, ma capace di provocare inoltre una serie di riflessioni che possono far continuare il viaggio anche dopo i titoli di coda.


Tutto bene, tutto benissimo?
Non proprio. La pellicola è divisa in due capitoli più un epilogo e io personalmente l'epilogo l'avrei evitato. Non che sia terribile. È solo che il finale del secondo capitolo è così splendido ed evocativo e ricco di significati e perfetto che il film si sarebbe dovuto chiudere lì. Olivier Assayas ha invece voluto fare l'esagerato e metterci dentro un epilogo non del tutto necessario. Così come il mio post si poteva chiudere con: “Kristen Stewart è davvero un'ottima attrice!” e fine. Un'affermazione del genere poteva bastare e avanzare per incuriosire a vedere il film e forse non era necessario aggiungere altro.
(voto 8-/10)

"Pensieri Cannibali ha parlato bene di me!
Questa è una cosa che io non avrei mai creduto di dire."

CINERENTOLA

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La conoscete la fiaba di Forderentolo?
No? Allora ve la racconto io.
Forderentolo era un blogger che curava un sitarello che parlava di film e soprattutto di wrestling che un giorno decise di diventare il co-conduttore di una rubrica sulle uscite cinematografiche della settimana insieme all'affermatissimo Principe Cannibale. Il Principe Cannibale, dall'alto della sua enorme bontà, concesse al vecchio e sprovveduto blogger una possibilità e da allora i due curarono questa rubrica insieme. Cosa che diede una grande popolarità mondiale al Forderentolo, quasi pari a quella del Principe Cannibale.
E vissero per sempre infelici e rivali.

Da quella storia venne liberamente tratta la fiaba di Cenerentola, che questa settimana torna nei cinema in una nuova versione. Eccola qua, insieme a tutte le altre uscite della settimana.

Cenerentola
"Questo sì che è uno stallone!
Altroché Sylvester..."
Cannibal dice: Dopo avervi raccontato la fiaba di Forderentolo nella intro del post, passiamo a occuparci della nuova Cenerentola firmata Kenneth Branagh. Le premesse per una pellicola da detestare ci sono tutte: non mi piace Kenneth Branagh, ritengo parecchio sopravvalutata Cate Blanchett che qui interpreta la regina cattivona di turno e la tipa che fa Cenerentola, tale Lily James, non mi pare troppo entusiasmante. Inoltre tutto questo revival fiabesco che scopiazza Once Upon a Time ha stufato. Quasi quanto Ford e i filmacci di Clint Eastwood.
Ford dice: quel damerino di Branagh azzecca un film su cinque da regista, e sinceramente sono stufo delle favolette da pusillanimi in pieno stile Once upon a time che probabilmente Cannibal adora gli siano lette prima di dormire.
Salto a piè pari, e senza patemi.

Blackhat
"Fermo! Non si corre sulle scale mobili!"
"Ma io sto scappando da Ford!"
"Allora fai bene!"
Cannibal dice: Michael Mann è un regista apprezzato sia da me che da Ford e ciò non va bene. Il suo nuovo film potrebbe riaggiustare le cose e tornare a dividerci. Blackhat negli USA si è rivelato un floppone clamoroso a livello di pubblico ed è stato fatto a pezzi pure dalla critica. Ma, si sa, mai fidarsi troppo dei critici, soprattutto quelli che prendono sempre tutto troppo sul serio come Mr. Ford. Nonostante la scelta di Chris Hemsworth come protagonista non mi convinca troppo, questo Blackhat a me ispira parecchio. Magari non sarà il nuovo Collateral, però potrebbe rivelarsi un buon cyber-thrillerone.
Ford dice: Michael Mann è uno dei quasi intoccabili del Saloon, e stranamente, di norma, riesce a piacere addirittura a Peppa Kid. Questo Blackhat, sulla carta, non mi entusiasma particolarmente, ma non sia mai che neghi la fiducia ad uno dei registi statunitensi più tosti ed importanti per un qualche pregiudizio neanche fossi l'ultimo dei cannibali. Dunque, film da vedere a mani basse.

Foxcatcher
"La mossa di wrestling segreta per sconfiggere Ford è... tirargli i capelli.
Provaci e vedrai che quello finisce subito al tappeto."
Cannibal dice: Fordcatcher, una pellicola che parla di... wrestling. Naturalmente.
Nonostante sentissi puzza di fordianata da lontano mille miglia, l'ho guardato e...
A breve la mia recensione.
Ford dice: sono proprio felice.
Per prima cosa, perchè Bennett Miller è un regista con i controcazzi, e firmato da lui avevo già adorato Moneyball.
Per seconda, perchè gli argomenti principali di Foxcatcher sono il wrestling e il disagio sociale, una sorta di cocktail tra Win win e The wrestler.
Terza, e più importante, perchè probabilmente sarà fonte di litigio sicuro tra il sottoscritto ed il suo antagonista, senza dubbio su due fronti opposti rispetto alla valutazione del film.
Praticamente imperdibile.

Ma che bella sorpresa
"Claudio, ma hanno chiamato me perché Ford è stato considerato
troppo vecchio per interpretare tuo padre?"
Cannibal dice: Una bella sorpresa sarebbe vedere questa rubrica commentata unicamente dal saggio Cannibal Kid. Invece vi tocca sciropparvi pure Mr. Ford. Così come vi tocca sciropparvi un altro film con Claudio Bisio, un non-attore che qui fa coppia con un altro non-attore, Frank Matano lanciato dall'orripilante compagnia di Paolo Ruffini e della sua gang di non-comici di Colorado.
Ford dice: il Cinema italiano sta male. Molto male. Quasi peggio di Cannibal Kid. E probabilmente, non sta benissimo neppure chi sceglie di vedere un film come questo.

Suite francese
"Oddio, ma chi è che manda ancora le lettere? Sarà Ford...
Ah no, guarda chi si è rifatto vivo: è Dawson Leery!"
Cannibal dice: Ennesima pellicola ambientata durante la Seconda Guerra Mondiale. Un genere inflazionato quasi quanto quello delle pellicole favolistiche. Però c'è quell'attrice da favola di Michelle Williams e quindi non mi sento di escludere una visione a priori. Al contrario di un film consigliato da Ford.
Ford dice: quest'anno, oltre ai biopic, anche i film legati alla Seconda Guerra Mondiale paiono farla da padroni. Sinceramente, Suite francese non è quello che metterei in cima alla lista in una settimana in cui escono Michael Mann e Bennett Miller.


Io sono Mateusz
"Forse non avrei dovuto dire a Ford che American Sniper è una cagata pazzesca..."
Cannibal dice: Pellicola polacca impegnata e melodrammatica. Una fordianata? Forse. O forse no. Il tema della disabilità potrebbe essere raccontato in maniera originale come in Quasi amici e quindi una quasi visione ci potrebbe stare. Sottolineo il quasi.
Ford dice: quando si parla di disabilità, sono sempre scettico. I Quasi amici non capitano tutti i giorni. Un po' come i commenti sensati del mio rivale.
Potrebbe essere interessante, questo Io sono Mateusz, ma con molte, molte riserve.

Cloro
"E mentre io sta andando al Sundance Film Festival,
Ford se ne va al prestigiosissimo Lodi Film Festival."
Cannibal dice: Cloro al clero. Cloro a Ford. E, già che ci siamo, pure a questo film?
No dai, questo film italiano passato persino dalle parti del Sundance non sembra affatto male. Cosa che però non significa nemmeno che correrò a vederlo.
Ford dice: come scrivevo poco sopra, il Cinema italiano sta male. Ma proprio male. E neppure una proposta da Sundance mi convincerà del contrario. O a correre in sala.
Un po' come neppure una rivalutazione di American Sniper potrebbe far rivalutare, ai miei occhi, l'operato critico di Peppa.
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