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Queen and Slim: Natural Born Killers incontra Black Lives Matter, ma non solo

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Queen & Slim
Regia: Melina Matsoukas
Cast: Daniel Kaluuya, Jodie Turner-Smith, Bokeem Woodbine, Flea, Chloë Sevigny, Sturgill Simpson, Melanie Halfkenny, Indya Moore


Ci sono frasi che non dovrebbe più nemmeno esserci bisogno di dire. Cose che ormai si dovrebbe dare per scontato. Come che non ci sono più le mezze stagioni. O Juve merda, lo dico da juventino. O Black Lives Matter. Specie in una nazione teoricamente patria della democrazia che ha avuto per 8 anni un presidente di colore. Invece a quanto pare non è un concetto compreso da tutti. Ce lo ricorda la morte a Minneapolis di George Floyd. Dopo essere stato tenuto a terra da un poliziotto bianco con un ginocchio sul collo per 8 minuti e 46 secondi, reo di aver usato in un negozio una banconota da 20 dollari presumibilmente falsa, secondo quanto riporta l'autopsia non è morto né per asfissia né per strangolamento, ma perché “gli effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia, le sue preesistenti condizioni di salute (ipertensione arteriosa e problemi coronarici) e potenziali sostanze tossiche hanno contribuito alla sua morte”. Quindi sì, Black Lives Matter, c'è ancora bisogno di dirlo, di gridarlo in strada, in piazza, rigorosamente con la mascherina addosso. Non fare come i gilet arancioni, altro concetto scontato che comunque è meglio ribadire.


Black Lives Matter. Come parlare di questo argomento in maniera non banale, non facilmente moralistica? Difficile. Difficile, ma non impossibile. La tematica razziale è stata spesso affrontata al cinema da regista bianchi, con tutte le migliori intenzioni del caso, penso ad esempio a Steven Spielberg, George Clooney e Clint Eastwood. Senza però poter sfuggire del tutto dal farlo con addosso quel senso di colpa tipico di noi bianchi privilegiati che certe situazioni non le abbiamo mai vissute sulla nostra bianca pelle. E' andata allora diversamente quando il tema è stato affrontato in maniera più sentita a livello personale da registi neri come Spike Lee o Steve McQueen. E va in un modo ancora differente con Queen & Slim, che propone il punto di vista di due donne di colore.


Il film è il lungometraggio d'esordio di Melina Matsoukas, 39enne di origini greche, ebree, afro-cubane e afro-giamaicane cresciuta nel Bronx, già regista di numerosi videoclip, tra cui un paio di mini capolavori (mini solo per durata) come "Formation" di Beyoncé e "We Found Love" di Rihanna & Calvin Harris.


La sceneggiatura di Queen & Slim è invece firmata da Lena Waithe, 36enne afroamericana lesbica già autrice dello script dello splendido episodio "Thanksgiving" presente nella serie Master of None e diretto proprio da Melina Matsoukas.


Capite quindi che da due persone con background e storie personali così differenti da quelli di Steven Spielberg, George Clooney o Clint Eastwood, così come anche dal mio, può venire fuori una prospettiva inedita. Queen & Slim è infatti uno dei film più originali e imprevedibili che mi sia capitato di vedere di recente. Riguardo alla trama non sto a svelarvi più di tanto. Vi anticipo giusto che la vicenda parte con un ragazzo e una ragazza di colore che si danno appuntamento dopo essersi conosciuti su Tinder.

"Sarà l'inizio di una tenera romcom, me lo sento."
"Non per demolire le tue aspettative, ma ti vorrei ricordare che ci troviamo nel 2020."
"AAAAAARGH!"

Quello che succede dopo non è proprio lo sviluppo da romcom che ci si potrebbe attendere da una partenza del genere. Diciamo che i due prendono più una direzione da Bonnie & Clyde afroamericani, come vengono ribattezzati a un certo punto all'interno della stessa pellicola. O anche da Mickey & Mallory Knox di colore. Siamo anche in questo caso dalle parti della riflessione sulla cultura della violenza così presente nella società americana. Solo che Assassini nati - Natural Born Killers era diretto da Oliver Stone basandosi su una sceneggiatura rielaborata a partire da un soggetto di Quentin Tarantino.


Qui invece come detto la storia è raccontata da due donne di colore, quindi è tutto diverso. La violenza non manca, ma c'è anche un approccio differente al romanticismo, alla poesia, ai dialoghi, alla musica,  al ballo, al sesso. Alla vita in generale.


Nota di merito a parte pure per i due ottimi protagonisti. Daniel Kaluuya dopo Scappa - Get out si trova in qualche modo di nuovo in fuga, questa volta in compagnia della rivelazione Jodie Turner-Smith, anche nota alle cronache gossip per essere la neo mogliettina di Joshua Jackson aka Pacey Witter di Dawson's Creek, con cui poche settimane fa ha avuto un figlio.

"Beccati questa, Joey Potter!"
"Beh, io ho avuto una figlia con Tom Cruise, quindi non mi posso certo lamentare.
Ehm... più o meno."

Concludendo, in maniera scontata ma necessaria, visto che in questo mondo di scontato ormai non c'è davvero più niente, Queen & Slim racconta cosa vuol dire essere una persona di colore nell'America di oggi e affronta in pieno l'argomento Black Lives Matter che sta letteralmente infiammando gli Stati Uniti, e non solo, negli ultimi giorni. Lo fa attraverso una storia che possiede una notevole tensione thriller e che appassiona dall'inizio alla fine. E lo fa evitando di volerci per forza impartire una morale, o una lezione di educazione civica, dribblando i cliché. Touché.
(voto 8/10)





Normal People: cinquanta sfumature di indie

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Normal People
(serie TV, stagione 1)
Tratta dal romanzo: Normal People di Sally Rooney
Scritta da: Sally Rooney, Alice Birch, Mark O'Rowe
Diretta da: Lenny Abrahamson, Hettie Macdonald
Cast: Daisy Edgar-Jones, Paul Mescal, Sebastian de Souza, India Mullen, Aoife Hinds, Eanna Hardwicke, Fionn O'Shea

Lasciate perdere il titolo. I protagonisti di Normal People non sono due persone normali. Menomale, direte voi. Prima di conoscerli. Dopo averli conosciuti, potreste rimpiangere le persone normali. Non è detto: diciamo che potresti innamorarvi follemente di loro, o detestarli in maniera altrettanto estrema.

Lei è Marianne Sheridan, una tipa bella, ricca, intelligente e pure ribelle che in teoria dovrebbe essere la ragazza più popolare del suo liceo e invece viene considerata come l'ultima delle sfigate. Come mai?

Non si capisce e diciamo che questo è per colpa del casting. Come spiega questo articolo di Rolling Stone, nel libro di Sally Rooney da cui la serie TV è tratta Marianne viene descritta come una ragazza bruttina. Nella serie, a interpretarla hanno però preso Daisy Edgar-Jones che, oltre a essere un'attrice di cui probabilmente sentiremo ancora parlare parecchio, è anche la versione più figa di Anne Hathaway. Non proprio un cesso. Difficile quindi capire in pieno tutto il suo senso d'inadeguatezza e l'insicurezza riguardo al suo aspetto fisico. O perché i ragazzi della scuola la deridano.

"Sono la classica racchia del paese, non si vede?"

Lui è Connell Waldron, interpretato da quella faccia da schiaffi di Paul Mescal, attore 24enne che ne dimostra sui 30-40 e che come liceale non è che sia il massimo della credibilità. E poi vi lamentavate di James Van Der Beek nei panni di Dawson Leery.

"Sono il classico liceale brufoloso, non si vede?"

Connell è un tipo sportivo, muscoloso, belloccio, ma è anche timido, sensibile e intelligente. E forse anche altro...


Più che semplicemente intelligente, viene considerato un genio, sebbene pure in questo caso non si capisca bene il perché. Un po' come Dan Humphrey in Gossip Girl: scrive un romanzo rosa per ragazzine degno del peggior Moccia e c'è chi parla di lui come del nuovo J. D. Salinger.

"Nel mezzo del cammin di nostra vita...
Sì, credo che questo come incipit del mio libro possa andare. Non penso l'abbia mai usato nessuno. Sono un genio!"


Se i due già da soli sono due personaggi difficili da comprendere, insieme come coppia sono proprio tremendi. Credo di non essere mai stato così lontano dallo shippare una coppia come in questo caso. Il loro rapporto è malato. Lui si vergogna di farsi vedere con lei e, come detto, essendo lei nella serie una strafiga e lui un tipo tanto sensibile e intelligente la cosa non è che abbia molto senso.

"Perché non vuoi farti vedere in pubblico con me?"
"Perché sei una cozza."
"Ma m'ha guardata bene, cocco?"

Lei però è una masochista, e sadomasochista, che adora farsi trattare di merda e quindi accetta la loro relazione top secret. Ciò che ne nasce dall'unione di questi due malamente assortiti è una storia piena di sesso che in alcuni momenti mi ha fatto rimpiangere persino Anastasia Steele e Christian Grey. Perché, diciamolo, per quanto impreziosita dalla regia di classe di Lenny Abrahamson, quello dello splendido Room, e dall'affascinante ambientazione irlandese, sotto sotto Normal People altro non è che una versione indie della saga di Cinquanta sfumature.

"Insultami, mi piace."
"Sei la mia Anastasia Steele."
"Adesso però non esageriamo."

Detto questo, capisco pure chi si è infatuato della serie. Normal People tratta male gli spettatori. Gli sbatte in faccia una storia d'amore, amicizia a trombamicizia che è un tira e molla continuo, che offre poche gioie e tanta frustrazione.

Io stesso a un certo punto ho rischiato di innamorarmi di questa serie. I primi tre episodi liceali mi sono sembrati del tutto irrealistici. I ragazzi di oggi credo che parlino e si comportino come i personaggi di Skam, non come questi due tizi che sembrano usciti da un romanzo d'altri tempi. Dal quarto episodio le cose però cambiano. I protagonisti vanno all'università, per la precisione al Trinity College. E io adoro il Trinity College. Non sono un tipo da souvenir o da maglie in stile Salvini, ma quando sono stato a Dublino questo campus m'è piaciuto così tanto che mi sono persino accattato una favolosa felpa con la scrittona dell'università in bella mostra.


A questo punto, seppure in ritardo, l'amore per Normal People pareva finalmente scattato. Peccato che poi il resto prosegua in maniera discontinua, tra alti e bassi e soprattutto tra un sacco di scene di sesso, che diventano persino troppo numerose. Al confronto, The Affair appare come una visione per educande. A un certo punto viene il dubbio che tutto questo sesso sia usato più che altro per mascherare la pochezza delle sceneggiature.


Quando avevo perso di nuovo le speranza, ecco che con l'ottavo episodio Normal People tira fuori una trasferta italiana estiva che ricorda Chiamami col tuo nome. E l'incanto per qualche minuto scatta di nuovo.


Dopodiché la serie cambia ancora volto, viaggia in Svezia, ci sono sesso, personaggi secondari che compaiono e scompaiono e hanno un ruolo troppo secondario, sesso, personaggi secondari come Jamie che riescono a risultare persino più irritanti dei protagonisti, ancora sesso, accelerazioni improvvise degne dell'ultima stagione di Game of Thrones, altro sesso e il livello torna a peggiorare, fino a una conclusione che più didascalica non si potrebbe immaginare.



Il bilancio finale?
Sono molto combattuto. Alcune cose mi sono piaciute, altre parecchio meno. Ho vissuto un rapporto di amoreodio nei confronti di questa poco Normal People. Più di odio che di amore, devo dire. Allo stesso tempo paradossalmente ne consiglio la visione. Potrebbe apparirvi come una delle cose più belle viste quest'anno, e quest'anno di cose belle non è che ne abbia proposte così tante, così come una grandissima vaccata. Dipende dalla vostra sensibilità. Dipende da quanto vi piace farvi maltrattare. Se siete come Marianne, con Normal People godrete parecchio.
(voto 5,5/10)


Waves - Le onde del destino bastard... ehm, beffardo

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Waves
Regia: Trey Edward Shults
Cast: Kelvin Harrison Jr., Alexa Demie, Sterling K. Brown, Taylor Russell, Lucas Hedges, Clifton Collins Jr.


Il protagonista del film Waves, Tyler Williams (intepretato dall'attore rivelazione Kevin Harrison Jr.), dalla vita sembra aver avuto tutto. E' uno dei ragazzi più popolari del suo liceo, è figo e ha dei capelli colorati da far invidia a Dennis Rodman.


Per non farsi mancare nulla suona anche il piano.


E ha una ragazza così (per la cronaca è interpretata da Alexa Demie, una delle fregne più fregne della serie TV Euphoria).


In più ha pure un'ottima famiglia che sembra uscita da This Is Us.

"This Is Us? Mai sentito nominare."

Un difetto ce l'avrà anche lui? Sì, fa parte del team di wrestling della sua scuola, ma nessuno è perfetto.

A questo punto ci si può attendere un film tanto spensierato quanto noioso, in cui tutto va per il meglio, e invece no. Cosa può capitare di male a un ragazzo come Tyler Williams? Non ve lo sto a raccontare per non rovinarvi la sorpresa. Non che sia esattamente una bella sorpresa. Si tratta più che altro di una bella sorpresa di merda. Come quella che il 2020 ha fatto a tutto il mondo.


Waves può piacere o non piacere, per carità. Qualcuno potrebbe considerarlo persino esagerato. A un certo punto i livelli di drama diventano così alti da far apparire Everwood una commedia goliardica al confronto.

"Ma la nostra serie era davvero allegra e divertente!"

Il bello di Waves però è che non sai dove voglia andare a parere. Non sai cosa può succedere. A un certo punto diventa un film del tutto differente. Sono quasi 2 film al prezzo di 1. Tenendo fede al suo titolo ha un andamento ondivago, in cui ogni onda è differente da quella che l'ha preceduta e da quella che seguirà. E' imprevedibile, come il mare, ed è bastardo, come Le onde del destino.


Proprio così. Siamo ai livelli di bastardaggine di un Lars Von Trier, girato però con uno stile che ricorda Moonlight di Barry Jenkins, sarà per via delle scene ambientate in mare.


A livello visivo siamo anche dalle parti di Spring Breakers - Una vacanza da sballo e The Beach Bum - Una vita in fumo, gli ultimi lavori di Harmony Korine, che non a caso ha partecipato al film, sebbene giusto con un piccolo cameo vocale. Non lo riconoscerete mai, ma sappiate che c'è.


Dopo gli acclamati Krisha (che non ho visto) e It Comes at Night (horror affascinante ma che non mi aveva convinto in pieno), il regista e sceneggiatore Trey Edward Shults in Waves gira alla stragrande, ispirato come un Terrence Malick che però si muove su un ritmo differente, più moderno, più stiloso, più hip-hopparo, ma non solo hip-hopparo. La variegata e strepitosa colonna sonora al suo interno propone il rap più allucinato e potente di Kanye West, Kendrick Lamar, Kid Cudi, Tyler, the Creator e Chance the Rapper, insieme a musiche originali composte da Trent Reznor e Atticus Ross, più canzoni da brividi di Radiohead, Tame Impala, Alabama Shakes, Frank Ocean e Amy Winehouse.


Troppo? Forse sì. Così come i livelli di drama, così come le svolte continue, così come i virtuosismi registici, anche la colonna sonora rischia di strafare. Quando però hai a disposizione le canzoni di nomi del genere, e le usi così bene e tiri fuori un film che è uno spettacolo sia per gli occhi che per le orecchie, ci si può davvero lamentare?

Sì, ci si può lamentare. Ma solo se siete dei maledetti cagaca##i!


Waves parte come un teen movie, rischia di trasformarsi in un film sportivo e poi... poi diventa altro. Cosa? Cercatelo, scopritelo, guardatelo, ascoltatelo, fatevi sommergere dalle sue onde. Potreste annegare, o potreste farvi la nuotata più sorprendente di quest'estate.
(voto 8/10)



Endings, Beginnings: chi incontra Jamie Dornan e Sebastian Stan a Capodanno...

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Endings, Beginnings
Regia: Drake Doremus
Cast: Shailene Woodley, Jamie Dornan, Sebastian Stan, Kyra Sedgwick,Matthew Gray Gubler, Lindsay Sloane


Le persone normali in genere passano un Capodanno di merda, quando finisce ancora di lusso. Shailene Woodley invece a una festa di Capodanno nella stessa sera conosce Sebastian Stan e Jamie Dornan.


Non solo li conosce. Entrambi si invaghiscono subito di lei. Così va la vita. Attenzione, però. Aspettate prima di insultarla dicendole cose oscene tipo: “Oh, che birbantella fortunella!”. O magari altro...


O magari altro ancora...


Dovete sapere che, prima di incontrare loro due, ha appena fatto voto di castità per "concentrarsi su se stessa". Si è lasciata da poco con il suo boyfriend e quindi ha deciso di passare alcuni mesi senza relazioni. Secondo voi ce la farà a mantere la promessa, soprattutto dopo aver incontrato quei due birbanti? Da uno spunto di partenza del genere ci possiamo aspettare dal film Endings, Beginnings un sacco di sesso, sesso e ancora sesso. E così infatti è.


Qualcuno si lamenterà, dicendo che Shailene Woodley non è adatta per un ruolo sexy. Forse perchè quel qualcuno continua a identificarla come l'innocente ragazzetta protagonista della serie La vita segreta di una teenager americana. Innocente poi nemmeno così tanto, visto che a 15 anni era già incinta.


O forse la identifica con la sfortunata protagonista di Colpa delle stelle con i tubi dell'ossigeno alle narici.


E poi chi l'ha detto che le ragazze con i tubi dell'ossigeno alle narici non possono essere sexy?



A chi non considera Shailene Woodley sexy consiglio la visione del film White Bird in a Blizzard di Gregg Araki e di questo suo video Instagram. Magari cambierà idea.
A chi già la considera sexy consiglio comunque la visione. Ne avrà conferma.

Il problema di Endings, Beginnings è che, a parte il sesso, non è che ci sia molto altro. Diciamo che un porno di medio livello ha una trama più elaborata e anche dei personaggi più approfonditi. In tutti i sensi. Non che io abbia mai visto un porno. Dico così, per sentito dire.

In questa pellicola non porno - ne siamo sicuri? - Shailene Woodley è una tipa che oltre al fidanzato ha da poco perso anche il lavoro. Lavorava in alcune gallerie d'arte e ha pure alcune velleità artistiche, che però all'interno del film vengono mostrate soltanto in maniera superficiale.


Così come in superficie rimangono anche i personaggi maschili. Jamie Dornan in versione scrittore sensibile non è che sia così convincente, non dopo che l'abbiamo visto andare nella "stanza dei giochi"  con Dakota Johnson.

"Piacere, sono uno scrittore sensibile."
"Certo, certo. Io comunque la mano non te la do, chissà dove l'hai appena messa."
"In effetti non hai tutti i torti..."

Cinque minuti prima

Sebastian Stan invece è un tipo fico che rifugge dalle responsabilità, un dannato che non si capisce bene perché sia tanto dannato, dannazione.

"Posso entrare?"
"Certo, accomodati nella mia vagina."
"Io veramente intendevo in casa, però, se proprio insisti..."

La storia di questi tre belli belli in modo assurdo che giocano al ménage à trois non appassiona lo spettatore e non sembra appassionare nemmeno il regista e sceneggiatore Drake Doremus. Il solito inconcludente Drake Doremus. Le sue pellicole dallo spirito indie e romantico interpretate da cast stellari avrebbero sempre tutte le carte in regola per entusiasmare, invece, quale che più quale che meno, finiscono per rivelarsi delle occasioni sprecate. Like Crazy, Passione innocente (Breathe In), Equals, Newness, Zoe e ora Endings, Beginnings. Tutti dei potenziali cult. Tutti dei cult mancati. A questo punto, forse dovrei smetterla di sperare che Drake Doremus tiri fuori il capolavoro supremo del cinema alternativo contemporaneo. E forse dovrei proprio smetterla di guardare i suoi film.
(voto 5/10)


Oddio l'estate

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Odio l'estate
Regia: Massimo Venier
Cast: Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti, Maria Di Biase, Carlotta Natoli, Lucia Mascino, Roberto Citran, Sabrina Martino, Davide Calgaro, Massimo Ranieri, Michele Placido


Aldo, Giovanni e Giacomo sono tornati a fare un film decente. Oserei quasi dire un film bello.


Devo confessare una cosa. A me le loro prime tre pellicole erano piaciute, e pure parecchio. Tre uomini e una gamba era una commedia freschissima, con parecchie citazioni al suo interno, ma allo stesso tempo estremamente personale.


Così è la vita proseguiva nella stessa identica direzione e, complice la colonna sonora dei Negrita che ai tempi spaccavano, viaggiava ancora ad alta velocità.


Con il successivo Chiedimi se sono felice i tre andavano addirittura nel poetico.


Dopodiché hanno realizzato il noioso La leggenda di Al, John e Jack, cose oscene tipo Il cosmo sul comò e altri film che con 30.000 lire il mio falegname li faceva meglio e li ho persi di vista. Fino ad ora. Fino al loro annunciato "ritorno alle origini". In effetti così è.


Certo, non ci troviamo al cospetto di un capolavoro neorealista del Garpelli. In compenso Odio l'estate recupera lo spirito dei vecchi tempi. Le loro gag comiche non scatenano più le risate di quando erano tra le star di Mai dire gol, c'è da dire, suscitando più che altro qualche sorrisino qua e là. In compenso in confronto a quanto fatto in passato è un lavoro più maturo, più corale, capace di dare maggiore spazio anche ai personaggi delle mogli e dei figli dei protagonisti. Oserei dire persino che a tratti è un lavoro esistenziale, riflessivo e profondo. Esagero?


Dico davvero. Non vi sto facendo un inganno come quello della cadrega. Odio l'estate è una commedia, una tipica commedia estiva che parte dal più classico del gioco degli equivoci. La loro casa nella patagarrosa Sardegna è stata affittata a tre famiglie diverse e così Aldo, Giovanni e Giacomo con rispettive consorti ed eredi si ritrovano loro malgrado a passare le vacanze insieme. Tre famiglie ovviamente parecchio differenti tra loro e che all'inizio non si sopportano, e che poi...

Adesso non sto a raccontarvi troppo. Dico solo che, pur non partendo da uno spunto originalissimo, il film minuto dopo minuto convince sempre di più e mi ha fatto ricordare perché un tempo Aldo, Giovanni e Giacomo mi piacevano. Poi oh, a chi non stavano simpatici in passato questa pellicola non farà cambiare idea. Per loro i tre rimarranno sempre graditi come una bottigliata sulle palle di Tafazzi.


Innegabile comunque che, dopo i vari passi falsi degli ultimi anni, il trio è ritornato a funzionare. I fan dei vecchi tempi non resteranno offesi di brutto brutto brutto e apprezzeranno qualche momento di autocitazionismo che ci sta. D'altra parte, pure Quentin Tarantino s'è messo a farlo.

Se questa foto è troppo osé, ditemelo che la tolgo.


La cosa migliore di questo film è che mi ha ricordato anche la bellezza dell'estate, l'estate e la libertà ah ah ah ah l'estate e la libertà nananananana, tanto per citare un altro nome nazional-popolare che insospettabilmente e inspiegabilmente ogni tanto mi piace, e poi non mi piace, e poi torna a piacermi un pochino. Odio l'estate è un film che puzza di mare, che ti fa venire voglia di andare in vacanza, che ti fa rimpiangere persino le code in auto con 40° all'ombra, la gente che ti schizza l'acqua addosso, le persone assembrate in spiaggia...

Ok, magari queste cose no. Così come nel film non tutte le cose convincono. Io ad esempio di tutta questa ossessione per Massimo Ranieri ne avrei anche fatto a meno.

La svolta horror del film. Altroché Conte Dracula.

La colonna sonora firmata da Brunori Sas invece per quanto mi riguarda ci sta. Anche se mi aspettavo una presenza più massiccia dei suoi pezzi.

"Sì, però anche voi. Vi sembra il caso di chiamare me per la colonna sonora?"
"Eh, il budget per prendere Calcutta era finito!" 

Alla faccia del titolo, Odio l'estate fa amare l'estate e i film estivi. E' un feel good movie fatto bene, che fa stare bene e che sa anche regalare una lacrimuccia. Sì ma... niente di serio.
(voto 7/10)



Da 5 Bloods - Come fratellì, ho sfonnato tutto, fratellì

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Da 5 Bloods - Come fratelli
Regia: Spike Lee
Cast: Delroy Lindo, Jonathan Majors, Clarke Peters, Norm Lewis, Isiah Whitlock Jr., Paul Walter Hauser, Mélanie Thierry, Jean Reno, Chadwick Boseman


Potrei raccontarvi di quella volta che ho combattuto in Vietnam, ma non lo farò. Forse perché riporterebbe in vita troppo fantasmi che credevo sepolti nella mia memoria. O forse perché non ho mai combattuto in Vietnam, chissà?

Potrei raccontarvi del mio amore per il cinema bellico, ma non lo farò. Forse perché sarebbero troppi i capolavori da citare, o forse perché non amo particolarmente questo genere di film, fatta eccezione per tre titoli che mi hanno sconvolto: La sottile linea rossa, Apocalypse Now e Full Metal Jacket, chissà pure questo?

Forse allora è meglio se vi racconto dell'ultima pellicola che ho visto, Da 5 Bloods, che però non è come si potrebbe immaginare dal titolo un film sui vampiri. Un film sui vampiri di colore tipo Blade, considerando che è diretto da Spike Lee e che nel titolo c'è quel "Da", che fa molto slang hip-hop. Invece no. È un film bellico. Che poi non è che sia proprio un film bellico-bellico. È più la storia di un gruppo di reduci che hanno combattuto in Vietnam. Tipo Il cacciatore, però più comedy, più leggero, più sciallo. Almeno nella prima metà, poi dopo le cose degenerano un bel po' e si fanno a tratti pesanti.  Parecchio pesanti. Una parte della vicenda è ambientata nel presente, l'altra è rappresentata dai flashback della guerra in Vietnam. Quindi diciamo che è un film bellico al 50%, o anche meno visto che le scene bellicose per mia gioia non sono tantissime. Facciamo allora che è bellico al 20%, ma è un film bello al 100%.

Contento, Spike?



Siamo già arrivati al giudizio ed è finita la recensione?
No, è solo che non vorrei spoilerarvi troppo. Riguardo alla trama, vi dico solo che i reduci protagonisti fanno ritorno nel Vietnam del presente e non vi dico perché. Comunque no, non è perché si sono stancati delle crociere e decidono di partire per una spensierata vacanza lì, tanto per cambiare.

"In fondo anche questa è un po' una crociera, no?"

Da questo spunto di partenza ha inizio un'avventura in cui muoversi stando bene attenti alle mine, mi raccomando. Al suo interno contiene di tutto e di più: svolte e giravolte, colpi di scena più o meno prevedibili, amicizia, rapporti famigliari, le canzoni di Marvin Gaye, scontri Stati Uniti vs Francia, frecciatine più o meno velate anzi per niente velate a Donald Trump, riferimenti al movimento Black Lives Matter, citazioni di Apocalypse Now, momenti da rimpatriata tipo Last Vegas o Compagni di scuola di Carlo Verdone, scene da cinema commerciale alternate a sequenze più autoriali, trovate ottime come quella di mantenere gli stessi attori "vecchi" anche per le scene in flashback in cui erano giovani girate per altro in 16mm, botti, morti, attimi splatter, monologhi in camera degni di Edward Norton in La 25ª ora e una gran bella scena di ballo che fa il paio con quella inserita nel precedente BlacKkKlansman.


E poi c'è un ottimo cast in cui su tutti svetta Delroy Lindo, con un personaggio complesso, folle, che qualcuno troverà idolesco e qualcuno detestabile. In ogni caso, la sua performance recitativa è quantomeno da nomination agli Oscar.


Da 5 Bloods - Come fratelli è un film strabordante, ricco di alti e bassi, imperfetto e lungo. Difetti? Non necessariamente, visto che nella sua imperfezione emergono anche una grande umanità e una notevole urgenza espressiva, talmente dirompente da sfociare a tratti nel caos, ma va bene così. Spike Lee a 63 anni ha ancora tanta rabbia dentro, tanta passione, tante cose da dire, il suo stile emerge con prepotenza in più di un'occasione, eppure qua e là viene a galla anche una forza da regista esordiente. Quanto al fatto che sia una visione lunga, con una durata che sfora le due ore e mezza, è fuor di dubbio ma, almeno per quanto mi riguarda, non mi sono praticamente imbattuto in manco un attimo di noia. E poi Spike c'ha messo dentro pure il supereroe Black Panther, che volete di più da un film solo?


Poteva essere il classico film sulla guerra nel Vietnam già girato e stragirato, invece è qualcosa di diverso. Presenta un tema noto da un punto di vista differente rispetto al solito, quello dei protagonisti di colore, spesso dimenticati, delle guerre combattute dagli americani. Con un risultato sorprendente e letteralmente esplosivo. Black Directors Matter. Black Movies Matter.
(voto 7,5/10)




Serial Killer: le serie TV del mese che poi è giugno 2020

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Serial Killer è una rubrica che ormai non ha più nemmeno bisogno di presentazioni.
Non l'avete mai sentita nominare prima?

Ok, è una cosa normale. In tal caso vi ricordo che trattasi della rubrica a cadenza mensile dedicata alle serie TV pubblicata su Pensieri Cannibali che, tanto per la cronaca, è il blog in cui ahivoi vi siete imbattuti in questo momento. Tranquilli, siete ancora in tempo per scappare.

Per chi invece ha deciso di restare, via alle serie belle, brutte e un po' belle e un po' brutte di giugno 2020.


Serie top del mese

I May Destroy You
(stagione 1, episodi 1-6)

Allarme rivelazione. I May Destroy You è una nuova serie britannica realizzata in collaborazione da BBC One con HBO creata, scritta, co-diretta e interpretata da Michaela Coel. Che sia lei la nuova Phoebe Waller-Bridge?
In realtà il suo stile è totalmente diverso, ma le due hanno in comune la capacità di offrire uno sguardo fresco, nuovo, imprevedibile, differente da tutte le altre cose in circolazione. Se vogliamo trovare qualcosa di simile, diciamo che siamo dalle parti di uno Skam Italia in versione britannica. Quindi in pratica in territorio Skins.

L'ambientazione principale è Londra, ma c'è spazio anche per fare qualche salto a Ostia, Italy, dove si svolge il terzo splendido episodio.

"Cosa importa seee, sognavi Puertorico? Ma se restiamo insieme, sembra un paradiso anche Ostia Lidooo"

La storia è quella di una star dei social trasformatasi in una scrittrice simbolo dei Millennial. Cosa che raccontata così può sembrare una cacchiata, invece non lo è. Anche perché il tema principale della serie è decisamente serio: la violenza sessuale. Argomento affrontato non in maniera investigativa, tipo Unbelievable, ma in un modo parecchio personale. Come, di preciso?

I May Destroy You non è una serie che va descritta a parole. Per capire a cosa ci troviamo di fronte bisogna guardarla, sentirla, viverla. If you don't watch it... I may destroy you. Ed ecco spiegato il titolo.

Cilegina sulla torta è la sua colonna sonora cool e sorprendente, capace di passare dai suoni UK più nuovi ai Daft Punk fino a... Ghali.


The Politician
(stagione 2)

Avete presente Matteo Salvini?
Dai, l'avrete già sentito nominare una o due volte. E' quello famoso per i meme sui social. Capito, adesso?
Ah no?

Il protagonista della serie The Politician, Payton Hobart, conduce una vita simile alla sua: in campagna elettorale perenne. Lui però è democratico, dalla parte della questione ambientale, dell'inclusione e dei diritti, ed è pure intelligente. Quindi in pratica con Salvini non c'entra niente. Se non per il fatto appunto che ha l'ossessione delle elezioni. Se nella prima stagione era candidato alla presidenza del consiglio scolastico del suo liceo, nella seconda la posta in gioco si fa "un pochino" più alta. Questa volta lotta per un posto da senatore di New York. Allo stesso modo, pure la serie alza il suo livello. No, non diventa più seriosa. Tutt'altro.


Diversi show prodotti e creati da Ryan Murphy danno il loro meglio all'inizio, per poi spegnersi. The Politician fa il contrario. La stagione 1 era assolutamente caruccia, la seconda però è ancora più assurda, divertente, frizzante, non ha un minuto di pausa, tira fuori delle riflessioni su politica e pure ambiente niente male, riesce nell'impresa di rendere Gwyneth Paltrow (quasi) irresistibile, e trasforma McAfee Westbrook (interpretata da Laura Dreyfuss) nella nuova idola stagionale.


Posso dire che The Politician è una delle serie migliori in circolazione?
Ah no?


Skam Italia
(stagioni 1-4)

Dopo aver iniziato dalla quarta stagione, ho recuperato anche le tre precedenti, e queste sono le mie impressioni finali su Skam Italia. Una serie consumata in fretta, ma che resterà dentro a lungo. Quanto cazzo sono profondo?

Stagione 1

La solita storiella d'amore liceale? Sì e no. La relazione tra Adamo Giovanni (il nuovo teen idol Ludovico Tersigni anche nel cast di Summertime) ed Eva (la roscia Ludovica Martino) sembra il cuore della prima stagione di Skam, ma a esserlo in realtà è più che altro il percorso di scoperta di se stessa e del suo posto nel liceo mondo di Eva. Lo stesso percorso compiuto dalle serie italiana, ispirata all'originale norvegese, che a sua volta possiede qualche debito nei confronti di Skins, che parte come ennesima serie teen qualunque e poi episodio dopo episodio, stagione dopo stagione, delinea uno stile suo, in grado di segnare un cambio di passo per il genere.
(voto 7+/10)

Stagione 2

Con la stagione 2 e la vicenda di Martino (Federico Cesari, il nuovo Elio Germano) la posta in gioco si alza. Si parla di omosessualità, di confusione sessuale, di malattie mentali, e c'è una nuova love story, forse la più poetica e travagliata della serie. Peccato solo per l'episodio natalizio finale, troppo volemose bene per i miei gusti.
(voto 8/10)

Stagione 3

Proprio quando sembrava essere diventata 'na bomba, Skam Italia fa un passo indietro. Al centro della stagione 3 c'è la classica storiella d'amore liceale che finora si era solo lambito, per poi concentrarsi su dell'altro. A viverla sono Eleonora (Benedetta Gargari, che amo, tanto per fare pure io lo studentello in love), una tipa diffidente e riservata, che è un po' come sarei io se fossi una ragazza figa, e l'insopportabile Edoardo Incanti (Giancarlo Commare), il bello del liceo, uno che se la tira già a partire dal cognome.

"Me la tiro io?
Ma non fatemi ridere!"

All'inizio la cosa è anche divertente, visto che lei sembra proprio odiare lui e quindi non si capisce come possano finire insieme e invece, come da copione di una romcom classica, lei finirà per capitolare alla sua corte spietata. Come ostacoli di mezzo ci sono una rissa e una serata un po' troppo alcolica, però nel complesso fila tutto troppo liscio per essere una vicenda davvero interessante. E poi 'ste scenone di bacio sotto la pioggia degne de Le pagine della nostra vita o The Vampire Diaries che sembrano un fanservice bello e buono ce le potevano anche risparmiare.
(voto 6,5/10)



Stagione 4

Per me la stagione migliore dedicata al personaggio migliore. Sana (la fenomenale Beatrice Bruschi) è una ragazza musulmana praticante che non si fa mettere i piedi in testa da nessuno e ci mostra come l'Islam non sia il male assoluto, come sostenuto da alcuni, e nemmeno il bene assoluto, come sostenuto da altri. Come per tutte le cose, ci sono mille sfumature, e non solo cinquanta. Il fatto che una serie teen riesca a far riflettere su un tema del genere senza ammorbare è roba non da tutti i giorni. A questo punto, se mai ci sarà una quinta stagione, devono prima assicurarsi di trovare un altro argomento bello spesso da affrontare in maniera intelligente, altrimenti meglio chiudere così, al top come Michael Jordan.
(voto 8,5/10)

Eva e Sana: "Questa recensione fa ridere i polli."
Silvia e Federica: "Ma soprattutto, manco una parola su di noi???"


Tredici - 13 Reasons Why
(stagione 4)

Tredici - 13 Reasons Why è una delle serie di maggior successo, ma anche una delle più controverse e criticate, degli ultimi anni. Sia piaciuta o meno, e a me è piaciuta esageratamente, la prima stagione è stata un bello shock all'interno del panorama teen, fino ad allora piuttosto rassicurante, tanto che in alcuni paesi è stata messa al bando. E non sopra il booster come la canzone di Anna.

La serie basata sul romanzo 13 di Jay Asher si sarebbe potuta e dovuta fermare lì. Considerata la sua popolarità, sono però stati "costretti" a proseguire. La seconda stagione è stata piuttosto inutile, la terza persino bruttina e quindi dalla quarta era lecito prepararsi per lammerda. Invece, checché se ne dica in giro, pur con tutti i suoi difetti è stata una conclusione se non altro decente. I livelli della prima stagione sono lontanissimi e questa ormai è diventata un'altra serie. A questo giro gli autori non si sono più manco sforzati di fare 13 episodi, rispettando il numero identificativo dello show, limitandosi a 10. O di concentrarsi su un personaggio differente a ogni puntata. Così come l'alternarsi tra passato e presente all'inizio è presente, poi viene dimenticato. Sono sparite pure le influenze 80s nella sua colonna sonora. Hanno praticamente cambiato tutto, 'sti stronzi!

"Beccati questa, Cannibal."

E non mancano dei momenti di puro nonsense, tipo Zach e Clay che a una festa cantano Tiny Dancer di Elton John.


Pur avendo perso la sua identità ed essendosi trasformato nel nuovo Pretty Little Liars, questa pasticciata quarta stagione propone degli episodi notevoli: il piacevole horrorino ambientato in campeggio, il potente episodio con il liceo in lockdown a metà strada tra Bowling for Columbine ed Elephant, e quello della rivolta che sembra anticipare le proteste Black Lives Matter.


A rendere il tutto più interessante ci pensano poi il comportamento del tutto fuori controllo di Zach...


...e il triangolo sentimental-sessuale tra Jessica, Justin e il latino Diego.

"Hey tu, fermo! Ti dichiaro in arresto."
"Ma non ho fatto niente..."
"Ascoltare musica reggaeton lo chiami niente?"

C'è anche spazio per il prom più orgogliosamente gay di tutti i tempi. Non so se vi ricordate di Dawson's Creek, che pure per i tempi era parecchio avanti, ma da allora parecchie cose sono cambiate.


Inoltre, sopresa sorpresa, a questo giro Ani non è più insopportabile, ma anzi si finisce per stare dalla sua parte.

"E sono pure diventata una gran fregna."

No problem, però. A rubarle il titolo di personaggio più fastidioso ci pensa Winston, già intravisto nella stagione 3 e ora purtroppo diventato onnipresente.

"Io non sono cattivo, è che mi disegnano così."

Nei nuovi episodi inoltre Clay, oltre a regalarci un discorso di fine anni da applausi, finalmente scopa. Con chi? Non ve lo dico. Se volete scoprirlo, siete costretti a guardare la stagione finale di Tredici. Una serie quasi irriconoscibile rispetto al passato ma che, tra momenti trash e tanto drama da #mainagioia, è tornata a essere a suo modo imperdibile.

"Esiste qualcuno che parla bene della quarta stagione di Tredici?
Sono shockata!
E Clay scopa?
Sono ancora più shockata!"



Serie così così del mese

On Becoming a God in Central Florida
(stagione 1, episodi 1-3)

Una serie TV ambientata negli anni '90 con protagonista Kirsten Dunst, e in una delle prime scene mangia pure un Winner Taco?
Oh my God! O meglio: On Becoming a God in Central Florida.

Pensavo di aver trovato la mia nuova serie TV del 💖e invece, passato rapidamente l'entusiasmo iniziale, dopo la visione dei primi tre episodi devo dire che non sono del tutto soddisfatto. I suoi toni da commedia surreale lasciano un po' interdetti. Dobbiamo ridere? Dobbiamo piangere? Dobbiamo... cosa dobbiamo fare?
Non lo so. Sono spiazzato. In teoria è una comedy, solo non una di quelle che ah ah ah che risate! Le vicende invece sono piuttosto drammatiche, solo che per ora non sono particolarmente emozionanti o coinvolgenti. Per amore di Kirsten Dunst comunque proseguirò nella visione e chissà che non finisca per amare anche la serie e trovarla divina. Io ci Credo ancora.

"Quando arriverai a questo episodio cambierai idea, caro Cannibal."

"Io scommetto 10 dollari sulla tua vittoria come miglior attrice protagonista ai prossimi Cannibal TV Awards."
"Solo 10?"


Love Life
(stagione 1, episodi 1-6)

Love Life è una serie antologica. Cosa vuol dire? Che questa stagione è incentrata sulla storia di Darby Carter, una ragazza alle prese con varie storie d'amore interpretata da Anna Kendrick, mentre la prossima stagione, già confermata, racconterà di un altro personaggio. Chi?
Chi lo sa?

La prima stagione a sua volta è quasi come se fosse composta da dei mini film diversi. Ogni episodio ci racconta un momento differente nella vita della protagonista, ogni volta o quasi al fianco di un altro partner e, anche se tutto è collegato, tutto appare troppo frammentato per appassionare al 100%. Il genere romcom, un po' come l'horror, è difficile da replicare a livello seriale, rischia di stufare in fretta. Con Love Life, così come sull'altro campo avviene con American Horror Story, i risultati sono altalenanti.



Serie flop del mese

MotherFatherSon
(stagione 1, episodio 1)
"Passo a te il comando dell'azienda, Piersilvi... ehm, Caden."

Vi sto per parlare di una serie che si chiama MotherFuc...

No, scusate. Si chiama Son of a Bi...

Ho sbagliato ancora. Si chiama MotherFatherSon. MadrePadreFiglio. Ok, che bel titolo di merda!
La serie ahimé non è che sia meglio. Racconta di una famiglia facoltosa, guidata da un magnate dei media stile Berlusca interpretato da Richard Gere. In pratica è la versione scarsa e ridicola di Succession. Con il suo stile "facciamo una serie internazionale figa anche se non abbiamo niente da dire" mi ha ricordato però soprattutto Diavoli. E non è una cosa positiva. Hell, no.


Snowpiercer
(stagione 1, episodio 1)

Già il film Snowpiercer non è che mi avesse fatto impazzire. Anzi. Dico solo che la mia recensione era intitolata Snowpirla. Se la pellicola mi era sembrata un po' una pirlata, se non altro poteva vantare la regia di Bong Joon-ho, futuro regista del capolavoro Parasite. La buona notizia è che la serie Snowpiercer è qualcosa di diverso dal film. Quella meno buona è che riesce a far rimpiangere persino la pellicola. Qui non c'è manco la regia di Bong Joon-ho e in più hanno trasformato la storia in un crime banalotto. Sì, ok, c'è Jennifer Connelly che è sempre un bel vedere, però per quanto mi riguarda nemmeno lei basta per proseguire il viaggio su questo treno diviso per scompartimenti in base alla ricchezza. Un po' come quelli di Trenitalia, a guardar bene.


Space Force
(stagione 1, episodio 1)

C'è chi impazzisce per Steve Carell. Ecco, io non sono uno di quelli. Se a ciò aggiungiamo che delle missioni spaziali in generale non me ne frega un granché, figuriamoci della satira di una missione spaziale, le mie aspettative non erano proprio alle stelle. Sarà per questo che non ho trovato il primo episodio di Space Force manco troppo atroce. Ci sono persino un paio di battute non male. Troppo poco per continuare con la visione, ma sinceramente mi aspettavo di peggio.



Guilty Pleasure del mese
Curon
(stagione 1)

Curon è una delle serie più spernacchiate degli ultimi mesi. Facile capire il perché. I livelli di recitazione non sono proprio da Oscar. Alcuni attori sono così scarsi da non essere manco degni di un Razzie Award. Come il nonno dei due ragazzini protagonisti.


Ma anche lui non scherza.


Pure Valeria Bilello non è che brilli proprio per la sua classe recitativa. Io le voglio bene, ha la mia stessa età, la seguo fin dai suoi primi passi come veejay su MTV e AllMusic, però come attrice per me è un grande mah. Dai, la recitazione sospirata da soap opera anche no, grazie.

"Non è proprioh veroh cheh recitoh in manierah sospiratah"

Poco convincente anche il Federico Russo. In questo caso no, non sto parlando dell'ex veejay di MTV, oggi tra i deejay di Radio Deejay. Mi riferisco al suo omonimo, quello che era il bimbetto faccia da schiaffi de I Cesaroni e adesso sembra il figlio illegittimo di Riccardo Scamarcio.

"Non è vero che somiglio a Scamarcio!
Hey, un momento, questo per caso era un complimento?"

A risollevare il cast ci pensa Margherita Morchio, già vista nel film adolescenziale Succede e nella sottovalutata serie Volevo fare la rockstar, qui nei panni di una teenager ribelle idola incontrastata della serie.


Curon ha anche altri meriti: una regia valida, una bella fotografia e si lascia guardare come divertente cazzatina dai contorni horror e fantasy soprannaturali. Il resto lo fa la singolare ambientazione che è quella appunto di Curon Venosta, paesino in culo ai lupi del Trentino-Alto Adige noto per il suo campanile che emerge nel mezzo del lago di Resia. E se questa è la sua attrazione principale, figuratevi quanto ci si possa divertire da 'ste parti.

"Che culon, vivere a Curon."
"Questa battuta è ancora peggio di quelle di Cannibal Kid."

Se non la si prende sul serio e non ci si aspetta dei veri brividi horror, Curon può anche rivelarsi una visione spassosa. Che questo spasso sia volontario o meno beh, quella è un'altra storia.


Cotta del mese
JoAnna García (Il colore delle magnolie - Sweet Magnolias)

Sweet Magnolias è una di quelle serie rassicuranti ambientate in una cittadina americana tranquilla. Quelle tipe Twin Peaks...
No, scherzo. Ricorda i quartieri residenziali di Wisteria Lane ma, almeno per il momento, senza morti misteriose. Le tre protagoniste sono a metà strada tra le Desperate Housewives e le star di Sex and the City. La visione della serie scorre senza problemi. Peccato manchino quei personaggi strambi e dei dialoghi al fulmicotone ricchi di riferimenti alla pop culture come ad esempio in Una mamma per amica. A spiccare nel cast, oltre a Jamie Lynn Spears, la sorellina di Britney Spears, è Joanna García, attrice di origini cubane e spagnole già vista in quel sublime sfortunato guilty pleasure di Privileged (in cui c'era pure una Lucy Hale pre-Pretty Little Liars), ed è stata inoltre la sirenetta Ariel in Once Upon a Time. Somiglia parecchio a Amy Adams, ma con dentro un pizzico di fascino cubano caliente alla Ana de Armas. Scusate se è poco.


Performer of the Month
Michael Jordan (The Last Dance)
"Vediamo un po' cosa dice Pensieri Cannibali di me..."

Il punto di forza, l'MVP della docuserie The Last Dance?
Sicuramente Michael Jordan.
Il limite principale di The Last Dance?
Paradossalmente, è sempre Michael Jordan. Il numero 23 dei Chicago Bulls è sia l'eroe che il villain della storia. Un personaggio talmente grande da mangiarsi tutto il resto. Persino negli episodi che partono come dedicati al gregario Scottie Pippen, all'imprevedibile Dennis Rodman, al coach guru Phil Jackson, a un certo punto è Air Jordan a rubare la scena. Così come sul campo, anche nella serie i riflettori finoscono sempre e inevitabilmente su di lui, anche quando si vorrebbe approfondire sugli altri. La sua mania di primeggiare è così forte che non si può fare a meno di ammirarla, e allo stesso tempo temerla. E' un'ossessione pericolosa che rischia di travolgere persino i suoi stessi compagni. Le parti che ho trovato più emozionanti sono allora state quelle in cui MJ si toglie i panni da Dio del basket e mostra il suo lato più umano. Anche lui può arrendersi di fronte alle disgrazie della vita. Anche lui può perdere.

"Anche io posso perdere?
AHAHAH, questa sì che è buona!"
"Comunque adesso dovrò vendicarmi nei confronti di questo sito che scrive certe cose su di me."


Serial Music
High Fidelity

High Fidelity per quanto mi riguarda non ha deluso le aspettative, che nel mio caso erano parecchio alte. La storia, i personaggi e lo stile riescono a essere altamente fedeli al romanzo Alta fedeltà di Nick Hornby e alla versione cinematografica di Stephen Frears con John Cusack. Questo nonostante l'ambientazione contemporanea, e i negozi di dischi oggi non sono più quelli degli anni '90, e nonostante IL protagonista Rob ora sia LA protagonista Rob, interpretata da Zoë Kravitz, e pure gli altri personaggi siano cambiati parecchio, almeno a un'occhiata esteriore. Non era facile modificare tutto, mantenendo intatto lo stesso spirito. Per me ci sono riusciti. E anche la colonna sonora non delude. Spazia tra generi ed epoche differenti, con un'unica costante: l'alta qualità.

 




Musica dritta dalla Fase 3 - I top e i flop di giugno 2020

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Questo mese nella rubrica musicale di Pensieri Cannibali c'è spazio davvero per tutti. E non è un modo di dire. Si va dai Public Enemy a Bobo Vieri, e da Bob Dylan a Chiara Ferragni.
Sì, è proprio una pazza estate di un pazzo anno.


Flop del mese

5. Fedez

Rovinare un pezzo da brividi come "Children" di Robert Miles non era facile. Fedez ce l'ha fatta, provocando un altro tipi di brividi. Horror. Mi dispiace dirlo, visto che Fedez mi sta anche simpatico, però "Bimbi per strada" sarebbe suonata mille volte meglio senza la parte vocale. Quindi in pratica andatevi a riascoltare l'originale di Robert Miles e fate finta che questa versione non sia mai esistita. Non credo sarà un grosso problema farlo.

 


4. Bobo Vieri, Nicola Ventola, Lele Adani

Tutti scandalizzati per l'esordio musicale di Chiara Ferragni, ma l'avete sentito il singolo di Bobo Vieri?
Che poi Bobo non si sa bene cosa faccia in questo pezzo, visto che è cantato soprattutto dall'amico Nicola Ventola. Avrà creato la base, un'inascoltabile latinata che non hanno il coraggio di suonarla manco nei peggiori bar di Caracas?

 


3. Le Vibrazioni

Il mondo, o se non altro l'Italia, li conosce come Le Vibrazioni. Io preferisco chiamarli La Cattive Vibrazioni.

Uh, che paura! Come sono diventato cattivo! Come sono poco politically correct! Quasi peggio di Vittorio Feltri.

 


2. Francesco Gabbani

Presente le precedenti canzoni di Francesco Gabbani?
Ecco, il suo nuovo singolo per l'estate le fa rimpiangere. Se non ci credete, ascoltatelo. Altrimenti fidatevi. Che è meglio.



1. Boomdabash, Alessandra Amoroso

Sono indeciso. Sono molto indeciso sul nuovo singolo estivo fatto dai Boomdabash con la fastidiosa collaborazione della voce di Alessandra Amoroso. "Karaoke" fa più o meno schifo di "Mambo salentino"?
Sono davvero davvero indeciso, ma mi sa che questa nuova è ancora più irritante.




Top del mese

9. Achille Lauro

Achille Lauro con il suo nuovo singolo per l'estate "Bam Bam Twist" omaggia Pulp Fiction di Quentin Tarantino e in particolare la scena del twist con John Travolta e Uma Thurman. Questo si chiama vincere facile. Malandrino. Io comunque non posso fare a meno di a-do-ra-re.



8. Public Enemy

Fino a poche settimane fa sembrava che Flavor Flav fosse stato "licenziato" dal gruppo. Adesso invece è rientrato. Una reunion che sa di "miracolo" dovuto all'odio nei confronti dell'attuale presidente degli Stati Uniti. I Public Enemy dimenticano le loro divergenze personali per far fronte unito contro il nemico comune, il vero Public Enemy. Il loro nuovo inno anti-Trump suona più forte di una bomba.



7. Bob Dylan

Bob Dylan tra i top di Pensieri Cannibali?
Non era affatto una cosa scontata, considerando che qui i mostri sacri della musica non sono trattati con particolari favoritismi e inoltre non sono mai stato un enorme fan del "menestrello di Duluth". Non che non apprezzi le sue doti di scrittura da meritato Premio Nobel per la letteratura. E' solo che la sua voce non mi fa impazzire. Detto questo, il suo nuovo album "Rough and Rowdy Ways"è notevole, soprattutto per gli appassionati di musica come si suonava 'na vorta, senza l'utilizzo di auto-tune o cazzate varie.

Un lavoro che mi ha affascinato parecchio, specie nella prima parte. Nella seconda ammetto di aver accusato un po' il colpo e il pezzo che chiude il lavoro, il primo singolo "Murder Most Foul" della durata di due milioni di anni 16 minuti e 55 secondi, ha messo a dura prova la mia pazienza. Tutto sommato, comunque, è andata molto meglio di quanto sperassi. Non starei a parlare di capolavoro, tanto lo stanno già facendo in tanti, ma "Rough and Rowdy Ways"è un buon disco d'altri tempi. Più di così non mi sbilancio, anche perché non credo che Bob Dylan ami troppo i complimenti e i leccaculo.

Pezzone del disco: per molti la canzone migliore è "I've Made Up My Mind to Give Myself to You", per carità bella ballatona, ma la mia personale preferita è "My Own Version of You".

 


6. Sports Team

Quando ho visto che gli Sports Team, un gruppo indie-rock chitarristico dallo stile tra Blur e Pavement, con l'album d'esordio "Deep Down Happy" si contendevano il primo posto della classifica britannica con "Chromatica" di Lady Gaga, mi sono chiesto...


Ai tempi del Britpop, nel mezzo degli anni '90, la cosa non sarebbe stata particolarmente sorprendente. Oggi che i gruppi con le chitarre non vendono un granché, nemmeno in Gran Bretagna, per non dire che i ggiovani non se li filano quasi per niente, il loro è un quasi miracolo. Quasi, perché Lady Gaga alla fine li ha fregati e loro si sono dovuti accontentare di una comunque onorevole seconda posizione. Qualunque sia il motivo del loro successo, il fatto che il loro cantante sia piacente sospetto possa essere d'aiuto, è bello che ci sia in giro una band così a giocarsi la cima delle classifiche, almeno in UK.


  
5. Annie

Non è una rubrica ufficiale, ma forse lo diventerà. Per la serie: "Canzoni che potrebbero fare parte della colonna sonora di Drive", questo mese ecco a voi "American Cars". Un brano che segna il ritorno sulle scene dell'electropop singer norvegese Annie e che lei dichiara ispirato a Crash di David Cronenberg. A me però fa tornare in mente più il film di Nicolas Winding Refn. In ogni caso, un pezzo super cinematografico.

 


4. Fontaines D.C.

Il loro "Dogrel" era stato uno degli esordi più folgoranti dell'anno scorso. Gli irlandesi Fontaines D.C. sono però già pronti per fare ancora di meglio. Superare loro stessi manco fossero Michael Jordan. Il secondo album "A Hero's Death"è previsto per il 31 luglio. Nel frattempo il singolo che lo anticipa "I Don't Belong"è la ballata ubriaca di cui non sapevate di aver bisogno.



3. Phoebe Bridgers

Si chiama "Punisher", ma non si tratta di un cinecomic supereroistico, o di un disco heavy metal. E' invece il secondo album di Phoebe Bridgers, cantautrice acustica intimista e delicata. Con supereroi e metal insomma non c'accezza nulla. E non c'azzecca nulla manco con la musica di questo periodo. Se siete già stufi dei tormentoni estivi latini e sculettanti senza manco averli ascoltati, questa potrebbe essere la vostra uggiosa, emozionante, splendida alternativa.

 


2. Run the Jewels

Qualcuno ha definito "RTJ4", il quarto album del duo hip-hop Run the Jewels, come la colonna sonora perfetta delle proteste del movimento Black Lives Matter. Così è. Pur essendo stato composto e registrato negli scorsi mesi, è il classico disco giusto uscito al momento giusto. Ooh la la.



1. Haim

Ho detto: "Cazzo che botta!", che botta cazzo! Cazzo che botta! Cazzo, che botta il nuovo disco delle Haim.

Chi sono le Haim?
Sono tre sorelle che cantano e suonano insieme. Una band a conduzione famigliare, come i Bee Gees, i Jackson 5, i Coors, gli Hanson e gli Oasis. Per fortuna, credo vadano un po' più d'accordo tra loro degli Oasis. Le tre sorelle Haim sono un gruppo in teoria indie che in realtà fa musica pop, sia inteso nel senso migliore del termine. In altre parole: scrivono belle canzoni che meritano di essere suonate ovunque.




Guilty Pleasure del mese
Baby K ft. Chiara Ferragni

Come operazione di marketing è geniale. Il verso "ti ho in testa come Pantene"è un claim che molti pubblicitari si sognano. La canzone è un po' meno geniale, però a me sinceramente piace. "Non mi basta più" a me piace. Mi vergogno a dirlo, ma è così. Non ci posso fare niente.

E comunque Chiara Ferragni "canta" meglio di Fedez.

 


Cotta del mese
Blackpink

Il K-pop ha fatto anche cose buone.



Video del mese
Bugo feat. Ermal Meta "Mi manca"

Il nuovo singolo di Bugo, realizzato in collaborazione con Ermal Meta, si chiama "Mi manca". Tra le cose che gli mancano elencate nel testo, a sorpresa, non viene menzionato Morgan.


Il video che accompagna il pezzo è tanto semplice quanto efficace e si basa tutto sull'interpretazione, molto espressiva, di Ambra Angiolini. Che finora l'abbia sempre sottovalutata come attrice?

 






Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga ha salvato l'edizione 2020

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Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga
Titolo originale: Eurovision Song Contest: The Story of Fire Saga
Regia: David Dobkin
Cast: Will Ferrell, Rachel McAdams


L'Eurovision Song Contest 2020 non si è potuto tenere, a causa della pandemia.
O forse sì?

Non sto parlando dell'evento speciale Eurovision: Shine a Light, andato in onda lo scorso 16 maggio al posto della cancellata finale del festival musicale più trash d'Europa, e forse del mondo, vero e proprio. Non l'ho seguita molto, ma mi è sembrata per forza di cose più sobria del solito. Diodato ad esempio si è esibito in un'Arena di Verona vuota, con un effetto molto malinconico. Non certo l'occasione migliore per dare sfoggio di cattivo gusto.

A regalarci la nostra dose annuale di eurokitsch annuale ci ha invece pensato un film, e che film: Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga. Non una storia vera ma, in questo pazzo 2020, potrebbe anche esserlo.


I Fire Saga sono un gruppo musicale islandese non proprio in stile Sigur Rós. Siamo più dalle parti degli ABBA, a essere generosi, o dei Ricchi e Poveri, a essere più realisti. I membri fissi e cantanti della band sono due, anche se dal vivo a loro si aggiungono pure un vecchietto al basso e un bambino cui è appena spuntato il primo pelo alla batteria. Uno è Will Ferrell nei panni di Lars Erickssong, un uomo di mezza età che da tutta la vita sogna di partecipare all'Eurovision Song Contest. Anzi no. Sogna di vincere l'Eurovision Song Contest.


Al suo fianco c'è l'amica eternamente friendzonizzata Sigrit Ericksdottir alias Rachel McAdams.


Tra i Fire Saga e la vittoria dell'Eurovision Song contest si frapporranno vari ostacoli, tra cui una Demi Lovato in versione popstar islandese bionda.


Altra guest star celebre del film è Conchita Wurst, che nel 2014 l'Eurovision Song Contest l'ha vinto.


Nei panni del cantante dei 21st Century Viking invece non c'è, come si potrebbe immaginare, Kristofer Hivju, l'interprete di Tormund di Game of Thrones, bensì un suo sosia, Milan van Weelden.

"No, non sono Tormund.
E no di nuovo, non sono milanista."

Sì, ok, ma il film com'è?
La storia dei Fire Saga sta all'Eurovision Song Contest come Zoolander sta alla moda. Lo stile di comicità è quello. E' una parodia assurda di un mondo che di suo è già parecchio assurdo. C'è persino una scena, quella in cui il protagonista parla al suo riflesso nell'acqua, che cita apertamente il film con Ben Stiller, con Owen Wilson e con lo stesso Will Ferrell.

"Beccatevi 'sta magnum!"

Chi ama le pellicole demenziali con Will Ferrell, oltre a Zoolander cito anche A Night at the Roxbury, Anchorman - La leggenda di Ron Burgundy, 2 single a nozze - Wedding Crashers, Ricky Bobby - La storia di un uomo che sapeva contare fino a uno, Blades of Glory - Due pattini per la gloria e Fratellastri a 40 anni, troverà quindi di che ridere in abbondanza. E non solo. Il film a sorpresa possiede persino dei risvolti sentimentali-musicali che riescono addirittura a emozionare. Complice un'ottima colonna sonora, capace di regalare perle tamarre di europop, un nuovo tormentone totale ("Jaja Ding Dong"), così come pure le atmosfere sempre speciali regalate dalle note dei Sigur Rós. Perché i Sigur Rós con i loro pezzi cinematografici nei film ci stanno sempre bene. Pure in lavori dalle sonorità parecchio differenti dalle loro come il metallaro Lords of Chaos o questo all'insegna dell'europop, dove però tra le ambientazioni islandesi calzano proprio a pennello.


Quest'anno non c'è stato l'Eurovision Song Contest. In compenso abbiamo avuto Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Saga, che è molto meglio. Ed è pure più adorabilmente trash.
(voto 7/10)




Sotto il sole di Riccione ti mando un vocale di 10 minuti soltanto per dirti che la mia malinconia è tutta colpa tua

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Sotto il sole di Riccione
Regia: YouNuts!
Cast: Cristiano Caccamo, Lorenzo Zurzolo, Saul Nanni, Ludovica Martino, Davide Calgaro, Fotinì Peluso, Matteo Oscar Giuggioli, Claudia Tranchese, Giulia Schiavo, Maria Luisa De Crescenzo, Isabella Ferrari, Andrea Roncato, Luca Ward, Tommaso Paradiso


“Caro Tommy, ti mando un vocale di 10 minuti soltanto per dirti quanto sono felice di aver visto Sotto il sole di Riccione. Forse ti chiederai perché ti mando un vocale così lungo. In tal caso ti dico che lo faccio come ripicca per la tua decisione di abbandonare i Thegiornalisti e iniziare una carriera da solista come cantante neomelodico da stadio stile Coldplay de' noantri. Qualcuno dirà che già i Thegiornalisti suonavano un po' come dei Coldplay de' noantri e, per carità, è anche una descrizione abbastanza accurata. Nel sound dei Thegiornalisti era però presente anche un tocco anni '80 internazionale mixato a un gusto per la canzonetta, sia inteso nell'accezione migliore del termine eh caro Tommy non cominciare a incazzarti, nazional-popolare. Che poi essere nazional-popolare in stile 80s è proprio una delle cose che mi sono piaciute di più di Sotto il sole di Riccione, il film Netflix liberamente ispirato alla vostra hit Riccione. E a questo punto tu dirai che non è la “vostra” canzone, ma è la “tua” canzone, visto che dopo la rottura dalla band ci hai tenuto a precisare con grande umiltà e modestia che nei Thegiornalisti facevi praticamente tutto tu. Solo che non puoi farlo. Ed è anche per questo che ho deciso di mandarti un vocale anziché chiamarti, così non puoi ribattere.


Un'altra cosa che ho apprezzato del film è la regia, firmata dai YouNuts!, che sono due talentuosi filmmaker al loro primo lungometraggio. Non sono comunque certo dei pivellini esordienti totali. Come ben sai, hanno diretto alcuni video dei Thegiornalisti, tuoi e anche alcuni degli altri migliori videoclip italiani degli ultimi anni, spaziando da Motta a Jovanotti, dai Måneskin a Salmo.


La cura per la fotografia e per i colori saturi emersi in una buona parte dei loro video si fa valere pure nel film. Sul web si leggono tanti commenti parecchio critici al lavoro. Si è scatenata la solita “shitstorm” che tu conoscerai benissimo anche meglio di me. Tanti a dire che questa pellicola è una schifezza assoluta ma, almeno limitandoci a parlare da un punto di vista registico e visivo, questi YouNuts! con il loro sguardo fresco danno merda, tanto per rimanere in tema di shit, a vari più blasonati ed esperti collegoni.

"Spielberg chiii?"

Certo, sulla sceneggiatura magari c'è già più da ridire e da criticare. Tutto sommato devo dire che a mio avviso funziona bene. Ci sono storielle d'amore e d'amicizia di vari tipi e per tutte le età che si seguono con piacere. Niente di nuovo o di sconvolgente, non mancano stereotipi e sviluppi ampiamente prevedibili, eppure emerge un particolare coinvolgimento emotivo da parte di Enrico Vanzina, che ha scritto il soggetto del prodotto. La scomparsa del suo compianto fratello Carlo lo ha reso più dolce e sentimentale del solito, ma non manca anche qualche battutina poco politically correct, qualunque cosa questa espressione possa voler dire al giorno d'oggi, e se a ciò aggiungiamo un sapore nostalgico da Sapore di mare, il film migliore nella carriera dei Vanzina Brothers, il gioco è fatto. Il filmetto adolescenzial-nazionale perfetto per la stagione estiva italiana è bell'e che pronto. Non sarà un cult ai livelli appunto di Sapore di mare, però le critiche che massacrano il film mi sembrano abbastanza ingiustificate. D'altra parte che cosa si aspettavano, il nuovo Quarto potere?

Pure il cast è particolarmente azzecato. I giovani attori non saranno da Oscar, ma, chi più chi meno, sono tutti volti freschi con un bel futuro davanti.

Direttamente da Baby, e ho detto Baby mica Breaking Bad o I Soprano, c'è Lorenzo Zurzolo, nella parte certo non semplice di un ragazzo non vedente. Non semplice, almeno per un ragazzo vedente. Strano che non si sia scatenata una polemica per non aver scelto un attore non vedente per la parte di un non vedente.


Per essere un ragazzo non vedente comunque la vede lunga, visto che s'innamora di Ludovica Martino, la Eva di Skam Italia. Per lei tanti tanti tanti cuoricini. 💓💓💓


Rimanendo in tema di fig... ehm, di "carbonara", come viene definita in questo film, c'è anche questa Giulia Schiavo con sguardo assassino alla Ana de Armas da tenere d'occhio.

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nse sa mai

Un post condiviso da Giulia Schiavo (@giuliaschiavo__) in data:


C'è inoltre Fotinì Peluso, che noi amanti delle Rai Fiction conosciamo già bene grazie a Romanzo famigliare e a La compagnia del Cigno, che qui nella parte della ragazza stronzetta è azzeccatissima. Lo prenda come un complimento.


Da Gomorra - La serie, invece, arriva Claudia Tranchese.


Nella parte dello sfigato di turno c'è Saul Nanni. Che poi è "sfigato" giusto perché gli hanno messo su gli occhiali, quando in realtà somiglia a un giovane Leonardo DiCaprio.



Non ci credete ancora che somiglia a DiCaprio?
Guardatelo in questo scatto in cui lui e i colleghi Cristiano Caccamo e Lorenzo Zurzolo ricreano una storica fotografia di Leo con Johnny Depp e Brad Pitt. Anche se a me Caccamo ricorda più che altro Gabriel Garko, piuttosto che Johnny Depp, o il Caccamo di Teo Teocoli.


Non manca inoltre il fattone di turno, interpretato da Matteo Oscar Giuggioli, che per calarsi meglio nella parte qualche cannetta dev'essersela fatta veramente. Non chiamatela fattanza, chiamatelo Metodo Stanislavskij.


E c'è anche il personaggio simpa di turno, che a essere generosi possiamo chiamare il nuovo Jerry Calà, che è Davide Calgaro, di recente visto pure in Odio l'estate, dov'è il figlio di Aldo Baglio.


In mezzo a tutti questi giovinastri, c'è spazio anche per tre “veterani”. Dritta dal citato Sapore di mare c'è Isabella Ferrari, questa volta in versione MILF apprensiva.


"Stessa spiaggia, stesso mare, stessa gnocca."

C'è Andrea Roncato in versione ex playboy che fa da “maestro Miyagi” al ragazzo che sono 5 anni che va dietro a una fidanzata che non lo caga di striscio, che poi sarebbe lo "sfigato" simil-DiCaprio.

"Metti la fregna, toglia la fregna."

E c'è anche Luca Ward, che come attore non è proprio un fenomeno, però che voce che ha! Vorrei avere il volto di Justin Timberlake, il fisico di Zac Efron e la voce di Luca Ward e potrei dirmi contento.


E poi ci sono le vostre canzoni, o, se preferisci e so che lo preferisci, le tue canzoni, Tommy. C'è Riccione, naturalmente, e che poteva mancare? Ma ci sono anche alcune delle altre canzoni più celebri e più belle dei Thegiornalisti, come Felicità puttana, Completamente e Fine dell'estate. Canzoni che sembravano perfette per fare da sfondo agli amorucoli estivi di qualche film vanziniano, e in effetti così è. In più c'è l'aggiunta di qualche tua musica originale, molto 80s, molto paninara, e quindi daje!

Allora, caro il mio Tommy io concludo questo vocale di 10 minuti e forse anche qualcosina in più, anche perché ormai il credito mi sa che mi sta terminando, e ti ringrazio per aver prima ispirato e poi contribuito a questo film in prima persona, anche con un cameo in cui nella parte di te stesso tutto sommato te la cavi bene e non te la tiri nemmeno troppo, forse giusto un pochino ma comunque ci sta, dai, sei perdonato, e dicevo che concludo volendo dirti che, anche se la critica ufficiale e non sta massacrando il film, puoi contare sull'approvazione di Pensieri Cannibali, per quello che può contare. Sarà che m'ha fatto venire un po' di melanconia, che è tutta colpa tua e di qualche film anni '80. Melanconia di quando pure io sono stato sotto il sole, sotto il sole di Riccione e ormai sono passati una ventina d'anni e oggi sarei troppo fuori target per tornarci. Non quanto Isabella Ferrari nella scena all'ingresso della discoteca, ma quasi. E comunque, nell'estate del distanziamento sociale, ma chi ci va a Riccione, chi? Meglio vederlo al cinema, anzi su Netflix.

"Tommy, qui forse un pochino te la tiri."

Mi sto di nuovo dilungando, mi spiace, Tommy. Adesso concludo per davvero, promesso. Sotto il sole di Riccione non fa così schifo come si dice in giro, e anzi m'ha fatto stare tanto bene, completamenteee. I casi allora sono due: o sono io l'unico pirla al mondo a cui 'sto film è piaciuto, o sono l'unico pirla al mondo ad ammetterlo.”
(voto 6,5/10)




C'era una volta in Italia

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Non avevo ancora parlato della scomparsa di Ennio Morricone. Non perché non mi importasse o non ci tenessi. Solo per mancanza di tempo. Lo faccio adesso, ammettendo comunque di non essere un suo fan della prima ora. Innanzitutto per questioni anagrafiche. Negli anni '60, quando ha cominciato a imporsi con le sue colonne sonore e con gli arrangiamenti di alcune delle più belle canzoni di musica leggera italiana, non ero ancora nato. Al di là di questo, il suo nome è stato storicamente, e un po' superficialmente, associato soprattutto alle soundtrack dei western. Ed è il genere di film in assoluto che mi piace di meno. Considerando poi che tra i suoi lavori più celebri ci sono anche le musiche delle pellicole di Giuseppe Tornatore, regista che non ho mai sopportato più di tanto, il mio rapporto con Morricone è stato all'inizio piuttosto complicato, per non dire distaccato.


Uno dei pezzi che hanno cominciato a farmi innamorare delle musiche di Ennio Morricone, o Ennio Morriconi come dicono negli iunaited steits of America, non è manco un suo pezzo, e per anni non sapevo nemmeno ci fosse il suo zampino. Mi riferisco a "Sugar Water", una delle mie canzoni cult degli anni '90 realizzata dalle giapponesi Cibo Matto, che al suo interno conteneva un campione da un brano poco conosciuto della sterminata produzione di Morricone, "Sospesi nel cielo", dalla colonna sonora de I malamondo. Per altro il video della canzone delle Cibo Matto è di una bellezza a dir poco cinematografica.



Il mio approccio a Morricone è quindi stato piuttosto trasversale. Come spesso mi capita per quei nomi universalmente noti. Penso ad esempio ai Beatles. In Italia tra i loro pezzi che si sentono ovunque ci sono cose come Ob-La-Di, Ob-La-Da e Yellow Submarine, che sono le robe più scandolose della loro discografia. Senza contare che, quando ero un ragazzetto, All You Need Is Love veniva suonata 50 volte in ogni puntata di Stranamore, che sì non perché guardavo, e quindi per me i Beatles da bambino erano quelli della sigla di Stranamore. Crescendo per fortuna ho poi scoperto che hanno fatto parecchie altre cose e ho trovato perle più nascoste e più preziose della loro carriera, iniziando così ad avvicinarmi realmente alla loro musica. Qualcosa del genere vale anche per Ennio Morricone. Tutti conoscono il famigerato "ah-ee-ah-ee-ah" de Il buono, il brutto e il cattivo. Una colonna sonora geniale, che poi a forza di essere suonata in vari contesti, pure parodistici, col tempo ha perso un po' della sua forza. Come All You Need Is Love per colpa di Stranamore. E comunque Morricone è stato anche molto altro, checché ne dica il Washington Post.


Paradossalmente, ma a questo punto nemmeno troppo, il mio pezzo preferito in assoluto della produzione di Ennio Morricone, o almeno di quella che sono riuscito a sentire e credo che manco il più accanito tra i suoi fan sia mai riuscito ad ascoltare tutto quello che ha prodotto nella sua vita, fa parte della colonna sonora di un film che non ho mai visto. Non interamente. Sto parlando di Giù la testa. Sergio Leone perdonami, ma non ce l'ho fatta a guardarlo tutto. Non è proprio il mio genere. C'ho anche provato, spinto proprio dall'amore per la sua colonna sonora, che mi era capitato di sentire non ricordo più dove e per cui avevo perso la testa. Il tema della pellicola, che si chiama proprio Giù la testa, ma è anche noto come "Sean Sean" e persino come "scion scion", è per me una delle più belle creazioni in assoluto mai fatte dall'uomo in qualsiasi campo.


La bellezza di questo brano trascende quella del film che accompagna. Come ho letto su Facebook in questi giorni scritto da non ricordo più chi, l'unico difetto di Ennio Morricone è che le sue colonne sonore spesso sono più belle dei film che accompagnano. Cito Baarìa, a mio giudizio una delle pellicole più pretenziose e meno riuscite nella storia del cinema, e non dico di peggio per non risultare volgare in un post come questo. Oppure Lolita, il dimenticabile remake di Adrian Lyne, non quello di Stanley Kubrick. Se vogliamo anche The Hateful Eight, che pure è una buona pellicola, è comunque quella che ho apprezzato meno della filmografia del mio adorato Quentin Tarantino e forse non è del tutto all'altezza della colonna sonora del Maestro. Ennio Morricone, un genio vero, "genio e regolatezza", come l'ha definito Roberto Benigni in un suo raro lampo di lucidità.

Un caso in cui la bellezza del film è riuscita nell'impresa non da poco di andare di pari passo con quella delle musiche di Morricone per me è C'era una volta in America, nel complesso la mia colonna sonora preferita tra quelle composte dal romano, e anche il miglior film da lui musicato, tra quelli che mi è capitato di vedere. Oltre che l'unico di Sergio Leone che sono riuscito davvero ma davvero ad amare. Oh, non ci posso far niente se gli spaghetti western, per quanto diretti e musicati alla grande, non mi appassionano proprio. Clint, metti giù quel fucile per favore.


La colonna sonora di C'era una volta in America fa parte di me da tutta la vita. Mio papà se lo riguarda tipo una volta all'anno da che io abbia memoria e quindi le sue musiche hanno risuonato nella mia casa e nelle mie orecchie fin da bambino. Quando poi da adulto ho finalmente visto il film completo, non solo qualche spezzone come mi era capitato fino ad allora, l'ho trovato un capolavoro emozionante come pochi. Complici anche quelle musiche di Ennio Morricone, che hanno fatto da colonna sonora alla mia vita da sempre e senza nemmeno che me ne rendessi conto. Quindi forse alla fine anch'io posso essere considerato un suo fan della prima ora.



365 giorni, il film soft erotico neanche tanto soft polacco che sta facendo discutere il mondo

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365 giorni
Titolo originale: 365 dni
Regia: Barbara Białowąs, Tomasz Mandes
Cast: Michele Morrone, Anna Maria Sieklucka, Natasza Urbanska


Netflix ha cambiato il modo di fruire la televisione. Il Coronavirus ha cambiato il modo di fruire il cinema. Dalla combinazione di questi due elementi, ne è venuto fuori il successo più clamoroso e inaspettato del momento.

Una volta, nell'epoca pre-COVID-19, il parametro principe con cui si misurava il successo di una pellicola era il box-office. Adesso che i cinema sono chiusi, o semichiusi, o comunque non danno film nuovi-nuovi, le classifiche di cui tenere conto maggiormente sono quelle dei servizi di streaming online, in particolare quella del più famoso e usato, almeno in attesa che Disney+ e PrimeVideo riescano nel sorpasso, ovvero Netflix.


Soltanto di recente Netflix ha cominciato a pubblicare le classifiche dei suoi titoli più visti. Sono top 10 giornaliere che non forniscono dati precisi. Io non ho capito bene quali siano i parametri di misurazione. Quale percentuale di un programma dev'essere visto affinché venga conteggiato come una visione? Se guardo 5 minuti di Stranger Things conta come se avessi visto tutte e tre le stagioni finora prodotte?

Scusate, esempio sbagliato. Se guardo 5 minuti di Stranger Things, automaticamente guardo l'intera serie. Troppo bella.


Prendiamo allora un altro esempio. Il film che per più giorni ha occupato la prima posizione nella classifica dei contenuti più visti su Netflix in pratica da quando c'è questo sistema di visualizzazione: 365 giorni. No, non intendo che è stato al primo posto per 365 giorni. È proprio il film che si chiama 365 giorni. Perché? Con calma, un attimo e ve lo spiego.

365 giorni è un film polacco, una piccola produzione senza attori famosi, che ha conquistato la vetta della chart di Netfilx non solo in patria, ma in generale in tutta Europa, Italia compresa, e pure quella degli Stati Uniti. E convincere un americano a guardare un film polacco sottotitolato con dialoghi in polacco e in italiano non è un'impresa da tutti i giorni. Com'è possibile allora questo successo?


Basta una parola sola che fa rima con successo: sesso. Il sesso vende, si sa. C'è comunque da dire che non tutti i film erotici sono dei successi assicurati. Subito subito possono venire in mente titoli che hanno fatto registrare ottimi incassi e sono entrati nel pruriginoso immaginario collettivo come Ultimo tango a Parigi, 9 settimane e ½ e Basic Instinct.

Se ci si ferma un attimo a rifletterci su un po' di più, tornano però alla memoria anche dei flop clamorosi. Tipo Showgirls che, nonostante col tempo sia stato rivalutato da alcuni, in maniera mooolto generosa, resta comunque più uno scult che un cult.


O Tipo Striptease, il film che ha stroncato o se non altro frenato di brutto la carriera di Demi Moore, prima di quell'impiego una delle attrici più richieste a cavallo tra anni '80 e '90.


Il successo più recente del filone erotico è stato la saga di Cinquanta sfumature. E proprio a Cinquanta sfumature di grigio si è dichiaratamente ispirata Blanka Lipińska. Una tipa polacca che ha conseguito una laurea in cosmetologia e poi ha lavorato come terapeuta-ipnotizzatore, così dice la sua bio su Wikipedia. Dopo aver letto i libri di E. L. James, dico io, si dev'essere chiesta: “Se 'ste ciofeche sono diventati dei bestseller, perché non posso scrivere dei libri pure io e farci i soldi?”. E così Blanka Lipińska, che come potete vedere nella foto sotto ha un look più da pornostar che da topo di biblioteca e non lo dico mica come critica, ha scritto la sua trilogia erotica, 365 dni (365 giorni), dal cui primo romanzo è stato tratto il film che ora spopola attraverso Netflix in tutto il mondo.

"Sono una topa da biblioteca. Non si vede?"

A questo punto io mi chiedo: perché perdo tempo a scrivere aggratis su questo blog, anziché inventarmi una trilogia erotica maialona scrivendo le peggio porcate assurde che mi passano per la mente e dare così il via a un mio personale impero editoriale?

Forse perché scrivere queste cose non è poi così facile come può sembrare. Per realizzare il nuovo giovane Holden ci va talento, ma ce ne va pure per scrivere il nuovo Cinquanta sfumature. Se no lo faremmo tutti e saremmo tutti ricchi, no?

Non lo so. Dovrei provarci. Se vedete che non pubblico più niente su Pensieri Cannibali per qualche tempo, è probabile che stia cercando di scrivere il nuovo Cinquanta sfumature, anzi ormai è il caso di dire il nuovo 365 giorni.

"Anche io ho scritto un libro. Lo sai, bambolina?"
"Ah sì? E come si chiama?"
"Kamasutra."

Adesso torniamo indietro. Perché si intitola 365 giorni e, più in generale, di cosa diavolo parla e perché ne stanno parlando tutti? Tutti, o se non altro gli amanti del peggio trash.

La trama ve la anticipo qui, ma vi consiglio di guardare il film e scoprirla da soli, perché è qualcosa di talmente assurdo da risultare geniale.

ATTENZIONE INIZIO SPOILER!
Massimo Torricelli è il figlio di un boss mafioso e un giorno vede una donna su una spiaggia. Qualche istante dopo suo padre viene ucciso davanti ai suoi occhi. Cinque anni dopo, Massimo è diventato il nuovo boss e per caso si imbatte di nuovo nella donna che aveva visto poco prima della morte di suo papà. A questo punto cosa decide di fare? Invitarla a un cinemino? Considerando che è un bel ragazzo, anzi oggettivamente è un figo pazzesco e sa di esserlo, così sarebbe troppo facile. Decide allora di rapirla e tenerla come sua prigioniera per 365 giorni, ed ecco il motivo del titolo. Se al termine dei 365 giorni lei non si sarà innamorata di lui, lui la lascerà libera. Che uomo magnanimo! Lei accetta. Anche perché non è che abbia molte possibilità di scelta.


Praticamente questa può essere vista a grandi linee come una rilettura moderna della fiaba di Cenerentola. Solo che il principe in questo caso è anche il suo carnefice, ma a parte questo è una gran bella storia d'amore, no?
A questo punto potete intuire perché siano nate delle polemiche intorno al film. La cantante Duffy, che è stata vittima di rapimento e abusi, accusa il film di rendere glamour lo stupro. Adesso non voglio entrare in questa dicussione. Dico solo che io mi sono divertito a guardarlo ma Duffy, che ha vissuto un'esperienza atroce, ha tutto il diritto di sentirsi offesa da una pellicola del genere e di chiederne la rimozione da Netflix.
ATTENZIONE FINE SPOILER!

Lo spunto narrativo assurdo e malato di questo lavoro mi ha ricordato vagamente quello di Boxing Helena, il film d'esordio di Jennifer Lynch, la figlia di David Lynch, che racconta la storia di un uomo che rapisce una donna e arriva a privarla di braccia e gambe. Una folle pellicola anni '90 che è un'ulteriore dimostrazione di come non sempre i film giocati sul sesso e sulla perversione siano dei successi. Dopo quel flop, per dire, a Jennifer Lynch sono voluti 15 anni perché qualcuno le permettesse di prendere in mano una macchina da presa di nuovo.

"Che libro stai leggendo?" 
"365 giorni di Blanka Lipińska."
"Oh merda, ma tu sei proprio malato!"

365 giorni invece è un successo. Un grande successo internazionale. Perché?


Se andiamo a vedere le pellicole erotiche che sono andate bene, non c'è solo una star femminile avvenente, ma anche un protagonista maschile che è altrettanto, se non di più, un sex symbol. In Ultimo tango a Parigi c'era Marlon Brando, non all'apice della sua figosità però ancora un uomo ricco di fascino. In 9 settimane e ½ c'era un certo Mickey Rourke, in Basic Instinct Michael Douglas e in Cinquanta sfumature Jamie Dornan. Showgirls, Striptease e Boxing Helena invece puntavano tutto sull'avvenenza femminile, e hanno fatto flop. Sarà un caso? Va poi inoltre notato come al cinema, forse, tirano più gli spogliarelli maschili, si vedano i fortunati Full Monty - Squattrinati organizzati e Magic Mike. Il nudo femminile insomma può essere di grande richiamo a livello mediatico, ma non si traduce automaticamente in biglietti staccati al botteghino.

Un elemento chiave della fortuna di 365 giorni è allora sicuramente il protagonista maschile, per altro italiano. Oggi come oggi forse l'attore italiano più richiesto e desiderato nel mondo, benché dalle nostre parti il suo nome, almeno per il momento, non sia molto famoso: Michele Morrone.


Chi è ? Finora Michele Morrone aveva partecipato a un'edizione di Ballando con le stelle, arrivando secondo, e come attore era apparso più che altro giusto in qualche fiction. Io lo ricordo ad esempio in Sirene, una commedia fantasy in 6 episodi di Ivan Cotroneo che pure quella era una trashata assurda mica da poco, ma dai toni molto più rassicuranti e sessualmente meno espliciti. D'altra parte si trattava pur sempre d'una Rai Fiction. In Sirene Michele aveva la parte del tritone, il figlio del dio del mare. E in effetti che gli vuoi dire? È bello come un dio. Sembra la versione ancora più figa di Fabrizio Corona, sempre per rimanere in tema di estorsioni e attività criminali. In più sa pure cantare e nella colonna sonora di 365 giorni si possono sentire diverse sue canzoni, a dirla tutta con un sound pop-rock commerciale stile Nickelback non proprio fenomenale.


La protagonista femminile è la polacca Anna-Maria Sieklucka, pure lei molto sexy, sia in versione mora che in versione bionda.

"Baby K!"

Dall'incontro tra questi due belli belli in modo assurdo ne esce una storia d'amore, malato che più malato non si potrebbe, e soprattutto una storia di sesso. Dimenticate le scene patinate e le sculacciatine di Cinquanta sfumature. Qua si fa sul serio. Non siamo ai livelli dei porno, non che ne abbia mai visto uno, ma poco ci manca. A un certo punto c'è una scena sullo yacht in cui ci danno dentro con mani e con piedi in qualunque angolo della barca per tipo 10 minuti buoni ed era forse da La vita di Adele che  in un film non si vedeva qualcosa del genere, sempre in ambito non porno, sia inteso.


Tra i motivi per cui il film è diventato ancora più discusso e popolare sul web, ci sono anche le reazioni, in alcuni casi ironiche e in altre sconvolte, dei giovani utenti di TikTok a queste scenone di sesso.

 

Quindi in pratica per spiegare il successo di 365 giorni, come dicevo all'inizio, basta una parola sola: sesso. L'altro fattore determinante credo possa essere il Coronavirus. Non so in quanti sarebbero andati al cinema a vedere un film come questo. Qualcuno si sarebbe sentito in imbarazzo. Non avresti nemmeno potuto portarci una ragazza, visto che, chiunque tu sia, il confronto con Michele Morrone è comunque perso in partenza.

Prima dell'emergenza sanitaria il film era già uscito con successo in Polonia, però in patria il romanzo probabilmente era già molto conosciuto, mentre in Gran Bretagna non è che avesse fatto sfracelli. Essendo stati “costretti” dal virus a distribuirlo nel resto del mondo direttamente in streaming, alla fine per i produttori è andata meglio così. Al cinema negli USA, così come probabilmente anche in Italia, in pochi avrebbero scommesso su questa roba. Come visione casalinga intima invece è riuscito ad arrivare dappertutto e a spopolare nelle classifiche di Netflix, diventato per l'occasione NetfliXXX.


Sull'aggregatore di recensioni Rotten Tomatoes 365 giorni sfoggia un invidiabile punteggio dello 0%, su IMDb ha una votazione media di 3,4/10 e la critica mondiale l'ha stroncato a reti e a paesi unificati. Andando oltre la recitazione agghiacciante dei primi minuti, c'è comunque da riconoscere che la visione poco per volta riesce a coinvolgere, a modo suo. Non che diventi mai un bel film, al massimo a tratti diventa un valido film porno, ma io sono arrivato alla fine con un pizzico di curiosità di scoprire cosa si inventeranno per il prossimo capitolo della saga. Perché, come detto, l'ispirazione arriva da una trilogia letteraria e, considerando il successo avuto da questo primo episodio, il secondo film è già in cantiere. Che culo! L'ha annunciato negli scorsi giorni Michele Morrone.

"Ci sarà un secondo film della saga, bambolina."
"Oh sì, non vedo l'ora di vedere Sotto il sole di Riccione 2!"
"Ma io veramente stavo parlando della nostra saga."

Per concludere, io consiglio di vedere 365 giorni e di farvi una vostra opinione. Potreste trovarlo osceno, in tutti i sensi, cosa probabile. Qualcuno potrebbe sentirsi offeso, come nel caso di Duffy, e anche a ragione. Personalmente invece io l'ho trovato un guilty pleasure divertente. Per niente educativo, per niente politically correct. Probabilmente maschilista e sessista, anche se io vorrei ricordare che la storia è stata scritta da una donna quindi, se proprio volete prendervela con qualcuno, prendetevela con lei. Alla fine però non bisogna prendere tutto troppo sul serio. Questo è un pornettino soft mica tanto soft che fa il suo dovere di farsi vedere e suscitare curiosità, come un reality show trash, e come tale va considerato.
(voto 4+/10)




Valley Girl: ottanta voglia di anni ottanta

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Valley Girl
Regia: Rachel Lee Goldenberg
Cast: Jessica Rothe, Josh Whitehouse, Chloe Bennet, Mae Whitman, Ashleigh Murray, Judy Greer, Logan Paul, Alicia Silverstone, Camila Morrone


Paninari in ascolto, siete sintonizzati sulla stazione radio troppo più giusta dell'Italia e oserei dire del mondo intero. Pensieri Cannibali FM. One blog, one world, one radio. Ah yeah!

Oggi vi parlerò di un film ambientato nel decennio più ganzo che ci sia mai stato. Cioè gli anni '80. Il film si chiama Valley Girl. Stiamo già ricevendo molte telefonate in proposito ma devo specificare subito che no, non è quello con un quasi esordiente Nicolas Cage che qui dalle nostre parti è uscito con il titolo La ragazza di San Diego. Questo è il remake di quella pellicola, che a sua volta era molto liberamente ispirata a Romeo e Giulietta di un certo William Shakespeare AKA il Bardo lo sbarbo. Mai sentito nominare?
Io no.


Il nuovo Valley Girl parte nel presente. C'è Alicia Silverstone, gloria degli anni '90 famosa per i video degli Aerosmith più sexy nella storia di MTV e per il cult movie Ragazze a Beverly Hills.


Non è più quella che era un tempo, e graziearcazzo gli anni sono passati pure per lei, ma io comunque me la farei ancora. E voi?
Via alle chiamate!
Nel frattempo ci ascoltiamo una hit degli 80s che è presente anche nella colonna sonora di Valley Girl. We Got the Beat. Yes, sono loro, le Go-Go's. Ah yeah.

   

Alicia Silverstone ricorda i tempi in cui era una giovane sgallettata Valley Girl, una ragazza della valle, della San Fernando Valley, in California, ah yeah. Che non è solo una definizione in basa alla residenza geografica, ma è anche un modo di definire una ragazza un po' superficiale, svampita, tutta apparenza. Una Material Girl come cantava Madonna, insomma. Ancora oggi più attuale che mai, we are living in a material world.

   

A sentire il racconto amarcord di Alicia Silverstone c'è sua figlia, ovvero Camila Morrone, attrice argentina emergente che è nientepopodimeno che la fidanzata di Leonardo DiCaprio.


Questa però è solo la cornice del film. Un po' come la parte con la vecchia del Titanic, giusto per rimanere in tema DiCaprio, dato che qui su Pensieri Cannibali FM è tutto connesso. One blog, one world, one radio. I told ya. Ah yeah, baby, parole in English totalmente random. Super cool. Super fresh. Yes.

Anyways, il cuore della pellicola batte forte sempre non all'Unieuro ma negli anni '80. Alicia Silverstone con il suo racconto torna indietro nel tempo e si trasforma in Jessica Rothe, la protagonista di Auguri per la tua morte e del suo sequel Ancora auguri per la tua morte.

"M'avete confusa per Madonna, vero?"

Non solo. Jessica Rothe aveva anche un piccolo ruolo in La La Land e non è un caso. Pure Valley Girl è un musical.


No, non scappate. Lo so che non a tutti fanno impazzire i musical e devo dire che anche a me non convincono sempre. O li amo totalmente, com'è il caso del citato La La Land oppure di Moulin Rouge!, o li odio altrettanto totalmente. Questo rientra per fortuna nella categoria di quelli che ho amato. Non che sia un capolavoro come i due titoli appena citati, ma nel suo piccolo riesce a essere un piccolo cult. Anche perché la colonna sonora è troooppo giusta, troooppo forte, troooppo ganza. Naturalmente tutta all'insegna degli anni '80. Ci sono un sacco di hit pop, ma c'è anche un lato punk. E a questo proposito, andiamo a sentirci un'altra track dalla soundtrack, Bad Reputation di Joan Jett.

   
 
Cosa c'entra il punk con la protagonista? Niente e il bello è proprio questo. Due mondi in apparenza opposti che si incontrano. La nostra Valley Girl si innamora di un tipo che non ha nulla a che fare con lei e con i suoi amici fighetti. Si innamora di un punk scapestrato che sconvolgerà la sua vita. Cosa succede dopo? Who knows?

"Tu saresti punk?"
"Certo che sì. Ho tutti i dischi di Avril Lavigne!"
"Ma siamo negli anni '80. Sta giusto nascendo da un momento all'altro. E poi sei sicuro che Avril sia punk?"
"Non osare criticarmi Avril che ti lascio."

Di più non vi dico. Vi suggerisco, anzi vi ordino di guardare e ascoltare a tutto volume questo film. Almeno se siete appassionati di anni '80. La sua colonna sonora vi farà girare la testa e il suo immaginario e i suoi riferimenti al cinema adolescenziale del periodo, cult di Howard Hughes in testa, vi faranno venire gli occhi a cuoricino. Non è un musical girato in maniera travolgente come La La Land. Sembra piuttosto una puntata di Glee ambientata negli 80s. I personaggi sono un po' stereotipati. I difetti non mancano, ok, e l'originalità non è certo di casa, ma il suo bello è anche e soprattutto questo. Valley Girl è puro revival. Nostalgia totale. Una pellicola così tanto anni '80 da essere più anni '80 degli stessi anni '80. Ottanta roba. Ah yeah.
(voto 7+/10)




Oooh, Chiwawa

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Chiwawa
Titolo originale: Chiwawa-chan
Regia: Ken Ninomiya
Cast: Shiori Yoshida, Mugi Kadowaki, Ryo Narita, Tina Tamashiro, Nijirô Murakami, Kotone Furukawa, Tadanobu Asano, Chiaki Kuriyama, Honoka Matsumoto, Taiko Katono


Chiwawa non è un cane. Chiwawa è una persona. Una ragazza. Una ragazza giapponese. Una Instagram star. Perché si chiama così?
Chiedetelo a lei, vi dirà che è perché fin da bambina è piccolina, è alta come Mr. Bean e somiglia appunto a un Chiwawa. Che poi non mi risulta che Mr. Bean sia particolarmente basso, ma questo andatelo a dirlo a lei. Oops... non potete. Perché?


Perché Chiwawa è morta. Non è uno spoiler. È una delle prime cose che vengono dette nel film che si chiama proprio come lei. Chiwawa. Non aspettatevi comunque qualcosa dalle parti di Beverly Hills Chihuahua. Questa è tutta un'altra storia, basata sul manga Chiwawa-chan di Kyoko Okazaki. Chiwawa è morta assassinata, fatta a pezzi. La pellicola nipponica ricostruisce quanto accaduto, tra passato e presente. Ricostruisce... insomma, più o meno. La struttura è quella di un thriller investigativo, ma il film non è un thriller investigativo. Non ci sono detective. Anche se a pensarci bene la funzione della detective la gioca in qualche modo una sua amica, che incontra tutti quelli che sono entrati in contatto con Chiwawa e cerca di scoprire cosa le è successo. Quindi un pochino un thriller lo è anche. Solo che più che altro è una pellicola generazionale. È uno Spring Breakers giapponese, ultramoderno e ultraveloce, girato con un montaggio frenetico e uno stile da videoclip da Ken Ninomiya, giovane regista classe 1991 che mi permetto di definire un Sion Sono di ultima generazione. Occhio, perché questo è un cineasta da tenere d'occhio.


Chiwawa è un incanto per gli occhi. Una folgorazione. Un film giocato molto sull'estetica, che comunque ha anche una sceneggiatura valida. Non siamo dalle parti del trattato sociologico, e menomale aggiungerei anche, ma è una pellicola che riesce a fotografare bene la Instagram generation. Che poi cos'è, la Instagram generation?
Instagram è già il passato, TikTok è il presente e chissà cosa ci riserverà il futuro, ovvero domani?


Chiwawa è un film girato in maniera figa, con degli attori fighi, con una colonna sonora figa in cui, tra musica electro e artisti giapponesi, si impone come tema ricorrente la canzone preferita di Chiwawa, Televison Romance dei britannici Pale Waves. Un gruppo dark molto dark pure troppo anzi no dark il giusto che, se ancora non conoscete, conosceteli! Ascoltateli! Amateli! Yatta!


Chiwawa è un film sexy. Senza scadere nel sadomaso alla 50 sfumature, 365 giorni, 44 gatti in fila per 6 col resto di 2 o cose del genere. È un film estremo, violento, qua e là. È un party movie mica tanto allegro. È un film strano, soprattutto. Un film che non dà particolari soddisfazioni a chi cerca un giallo con risoluzione classica. È un film che piacerà a chi preferisce le domande alle risposte. Un film che a tratti avvicina, a tratti respinge, spesso disorienta. Un film freddo che però quando meno te lo aspetti riesce anche a emozionare e cui alla fine bau bau micio micio ho finito per volere bene.
(voto 7+/10)


P.S. Se volete trovare Chiwawa vi consiglio di passare non dal canile, bensì dalla pagina Facebook FILM SUB (Specie)




Serial Killer di luglio 2020: le serie del mese, poche ma (abbastanza) buone

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Questo mese in Serial Killer si parla di poche serie. Poche, ma buone?
Sì, dai. Il bilancio è positivo. Non ho messo manco una serie tra i flop, quindi non ci si può lamentare. O forse questa rubrica, a dispetto del suo nome, sta diventando troppo buona?


Serie top del mese

Dispatches from Elsewhere
(stagione 1)


Bisogna dare tempo al tempo. Aprirsi alle seconde possibilità. Solo gli stolti non cambiano mai idea, e così via. Tutto questo per dire che sì, ho sbagliato. Dopo aver guardato i primi due episodi, avevo bollato Dispatches from Elsewhere come una possibile cacchiata. Per essere più precisi avevo scritto: “In bilico tra genialata e cagata pazzesca, dopo averne visto due episodi non voglio sbilanciarmi troppo, ma credo si vada più verso la seconda opzione”.


Invece no. Con il terzo episodio è finalmente scattato l'amore. E pensare che l'episodio in questione è dedicato al personaggio di una vecchina interpretata dalla solita grande Sally Field che sulla carta non sarebbe proprio nelle mie corde.

"Vecchina a chi?"

Solo che Dispatches from Elsewhere sa stupire, e sa emozionare. La serie scritta, creata e interpretata da Jason Segel è riuscita a vincere le resistenze personali che ho nei confronti del suo autore, che pure qua conferma di non essere un interprete dall'espressività eccessiva, ma dimostra di essere una persona con delle cose da dire e soprattutto con un'enorme creatività. La stessa serie nella stessa serie viene descritta come: “È tipo Fight club sotto acidi, però scritta da uno che ama la vita” e in effetti così è. È però anche altro. Un'avventura nella tana del Bianconiglio che ricorda tante altre cose e finisce per essere estremamente personale. Faccio quindi mea culpa e chiedo scusa a Jason Segel per averlo come al solito sottovalutato. E finisco per ringraziarlo per averci regalato una delle visioni più intriganti dell'anno. Giusto per non esagerare con i complimenti, aggiungo solo che nel finale rischia di strafare, ma va bene così, Jason, ti perdono se tu perdoni me.

"Col cavolo che ti perdono."



Little Voice
(stagione 1, episodi 1-3)
"Prima di cantare vorrei dire qualcosa... anzi, meglio di no, per non rischiare di fare una bocellata."

Dobbiamo tornare indietro” diceva Jack a Kate in una delle scene più memorabili di Lost. E lo stesso deve essersi detto tra sé e sé J. J. Abrams, uno dei co-creatori della serie. Dopo aver fatto su i miliardi, diretto e prodotto qualunque nerdata da Star Trek a Star Wars, l'amatodiato J. J. ha deciso di tornare alle origini. Al suo primo amore. Alla sua prima creatura televisiva, Felicity. Proprio a quella serie adolescenziale trasmessa a cavallo tra gli anni '90 e i primi anni zero è dichiaratamente ispirata Little Voice, serie prodotta dallo stesso J. J. Abrams e co-creata da Jessie Nelson con Sara Bareilles, cantante nota per la hit del 2007 “Love Song” che non è che mi abbia mai fatto molto impazzire, ma che trasmette la sua genuina passione per la musica qua dentro. Perché Little Voice non è un musical, anche se la gente ogni tanto si mette a cantare in mezzo alla strada senza motivo, bensì una serie musicale, che racconta la storia di una giovane aspirante musicista in quel di New York City. Uno dei pregi maggiori della serie è quello di far respirare la musica, qualsiasi genere di musica, che esce da questa città come se fossimo lì. La Grande Mela straborda di sonorità differenti e Little Voice cerca di dare voce a ognuna di loro.


Certo, c'è da mettere in conto qualche momento melenso. D'altra parte è una serie creata da Sara Bareilles, mica da Burzum. Per lo più comunque la serie funziona e finisce per convincere anche la protagonista Brittany O'Grady, che avevo già visto in quella sublime trashata di Star e che dimostra un buon potenziale sia come attrice che come cantante. Se in Star veniva spesso oscurata dalle due bonazze co-protagoniste, qui i riflettori sono puntati su di lei e lei supera la prova.


Con le serie TV d'altronde spesso va così, con gli attori in secondo piano che finiscono per trasformarsi in vere star. Com'è successo a Michelle Williams dopo Dawson's Creek o, ancora più clamorosamente, a Melissa McCarthy dopo Una mamma per amica. Chi l'avrebbe detto ai tempi che sarebbe diventata più famosa e pagata di Lauren Graham e Alexis Bledel?


Tornando a Little Voice, si scrive “Little Voice”, si legge “mainagioia”. La protagonista è bella, di talento, scrive ottime canzoni, vabbé diciamo canzoni decenti, e ha una bella voce, è spiritosa, multitasking, sensibile. Eppure nella sua vita non gliene va bene una. Conosce un ragazzo che le piace, questo poco dopo si presenta nel locale in cui lei lavora come barista in compagnia... della sua fidanzata.
Trova finalmente il coraggio di cantare una canzone che ha scritto in pubblico e... si blocca sul più bello.
Vede la sua migliore amica baciare innamorata la sua ragazza e... dei pazzi criminali tirano loro addosso una bottiglia.
La protagonista, teoricamente figa, è così sfigata e insicura da risultare simpatica. Magari non subito. Il primo episodio mi è sembrato così così, mentre con il secondo e con il terzo è scattata la scintilla e ora sono molto curioso di scoprire se questa Little Voice si trasformerà in una Big Voice. Ok, quest'ultima stronzata potevo anche risparmiarmela, ma non sapevo come concludere il pezzo.


Love, Victor
(stagione 1)

Simon, ti presento Victor. Victor è la tua versione aggiornata e ispanica. Il tuo film Tuo, Simon era caruccio e tutto, però le cose filavano via in maniera troppo liscia. Il bello della tua pellicola era quello di affrontare i temi dell'omosessualità e del coming out in maniera comedy, leggera, evitando il solito drama che accompagna la rappresentazione di queste storie. Solo che era anche il tuo limite. Il mondo vuole drama e così eccolo accontentato. Love, Victor è la versione telefilmica del tuo film. È un teen drama e se a un teen drama gli togli il drama è un bel dramma. Per quanto anche in questo caso c'è da dire che sia tutto molto light e politically correct, e quanto cazzo ha rotto il cazzo il termine politically correct?

Rispetto al tuo film qui comunque emerge un pochino più di conflitto. Quel tanto che basta per tenere desta l'attenzione e far consumare le dieci veloci puntate della prima stagione di Love, Victor come un vassoio di ciliegie. Una tira l'altra. Che poi a me le ciliegie non è che facciano così impazzire, ma era giusto per dare l'idea.

Rimanendo in tema, ciliegina sulla torta di questa serie molto caruccia è un cast di giovani emergenti in cui, più che il Victor che ti ha fregato il posto di protagonista o il simil-Edward Cullen di cui si invaghisce come fosse una Bella Swan qualunque, sono gli attori di contorno a spiccare e a spaccare. In particolare Anthony Turpel nei panni del personaggio simpa di turno. L'outsider “sfigato” alla Pacey Witter che saprà riscattarsi.


E poi c'è Rachel Hilson, che è talmente figa da far vacillare l'omosessualità del protagonista.


Victor era gay, e adesso sta con lei, canterebbe Povia. E dopo questa citazione di altissimo livello, caro il mio Simon, direi che posso anche chiudere la mia lettera. Tanto, ormai chi le legge più le lettere?
Tuo, Cannibal.



Serie così così del mese

Brave New World
(stagione 1, episodi 1-4)

Brave New World è una serie tratta da un romanzo distopico arrivato molto prima di Hunger Games, ma anche prima di The Handmaid's Tale e persino di 1984 di George Orwell. L'omonimo romanzo di Aldous Huxley è stato pubblicato nel 1932. Può un romanzo distopico del 1932 essere ancora futuristico oggi giorno? Nel distopico 2020 che stiamo vivendo sì, è possibile. Lo spunto iniziale di Brave New World non è niente male. Come scrive Wikipedia, la serie “immagina una società utopica che ha raggiunto la pace e la stabilità attraverso il divieto della monogamia, della privacy, del denaro, della famiglia e della storia stessa”. In pratica ci troviamo di fronte a una specie di comunismo orgiastico. Tutti scopano con tutti e nessuno vuole mettere su famiglia. È come vivere in una comune hippie anni '60. O in un college americano da film per sempre. Che figata!


Naturalmente però non è tutto oro quel che luccica e così anche questa società apparentemente perfetta mostrerà le sue crepe. Al contrario, la società dei “selvaggi”, quelli che vivono con i valori della monogamia e della famiglia, può rivelarsi migliore di quello che appare. Ottima idea di partenza, sviluppo discreto. A tratti affascinante, a tratti trash, Brave New World è un incrocio tra Westworld e una puntata di Black Mirror, con un cast niente male in cui spiccano Jessica Brown Findlay (che non a caso si era segnalata proprio in un episodio di Black Mirror)...


…Alden Ehrenreich che, dopo aver inevitabilmente perso il confronto con Harrison Ford nei panni di Han Solo in Solo: A Star Wars Story, conferma di essere ancora un attore promettente...


...e, tanto per non farsi mancare niente, c'è pure Demi Moore in versione MILF bionda. Perché?
Perché no?


Peccato solo che la serie si prenda troppo sul serio. Se, come Upload, giocasse di più la carta dell'ironia, allora sì che ne vedremmo delle belle.



Guilty Pleasure del mese
Cursed
(stagione 1, episodi 1-4)

Le mie impressioni dopo i primi minuti di visione della nuova serie fantasy di Netflix Cursed non sono state certo tra le migliori. Ho pensato che questa è una serie maledetta di nome e di fatto, nel senso: “Che sia maledetta questa serie!”. Mi sono anche chiesto più volte se stavo guardando la Melevisione.

"Che sia meledetta questa serie!"

In una scena mi è sembrato di trovarmi di fronte a un incrocio tra Bambi e Il Signore degli Anelli. O a un Game of Thrones per nabbi. Ho trovato assurdo persino il nome della protagonista. Cioè, ma chi è che ha deciso di chiamarla Nimue?

"Questa spada la chiamerò Eschizibur."


Per non parlare degli odiosi personaggi secondari. Dal bimbetto ladro...


...a Peter Mullan in versione Gandalf cattivo.


Un altro misterioso villain della serie sembra invece un bimbominkia emo.


La migliore amica della protagonista invece non si sa bene perché è Anna dai capelli rossi. Ah sì, forse so il motivo: quelli di Netflix l'hanno messa qua per dare il contentino ai suoi fan sfegatati che continuano a fare petizioni per rivederla dopo la cancellazione della sua serie.

"Non sono Anna dai capelli ross... ok, forse sì."


L'ho già detto che Cursed è una libera rivisitazione della leggenda arturiana? Ah no? Allora lo dico adesso. Non poteva quindi mancare Merlino, o Merdino come da me ribattezzato. Qui è proposto un Merlino sopra le righe, molto jacksparrowizzato. Un Merlino ubriaco e rock, se vogliamo. Una parte che sarebbe stata perfetta per Johnny Depp. Peccato che l'attore sia in altre faccende affaccendato, più in tribunale che sul set, e quindi per la parte hanno preso il terzo fratello Skarsgård, che in certe scene sembra Maccio Capatonda.

"In realtà non sono Mago Merlino. Sono Padre Maronno."

Fatto sta che ho continuato nella visione di Cursed a causa della mia cotta per Katherine Langford, presa ai tempi di 13 Reasons Why, e minuto dopo minuto, episodio dopo episodio, ho finito per divertirmi. La serie è tutt'altro che fenomenale, ma come guilty pleasure fantasy banalotto e già visto ha il suo perché. E questo, se non si era capito, era un complimento.



Cotta del mese e Performer of the Month
Alba Baptista (Warrior Nun)

Warrior Nun. La suora guerriera. Sentite anche voi odore di cazzatona? Io lo sentivo, eppure mi sbagliavo. Per quanto tutt'altro che priva di difetti, Warrior Nun è una piacevolissima sorpresa. Certo si parla di cose assurde come la risurrezione... Dite che lo fa anche la Bibbia? Infatti la Bibbia è il più assurdo dei bestseller.

Il grande pregio di questa serie TV, basata sull'omonima serie a fumetti di Ben Dunn, è quello di presentare una folle vicenda fantasy con un sacco di ironia, di cui è massima rappresentante la protagonista, Ava Silva interpretata da Alba Baptista. Una tipa tostissima, bad-ass la definirebbero nei paesi anglosassoni ma visto che siamo in Italia dovete accontentarvi di tostissima. E anche ricca di quel senso dell'umorismo perfetto per smontare tutte le cose pazzesche che potete immaginarvi, e che in effetti avvengono, in una serie che è intitolata Warrior Nun. In pratica, Ava Silva è la nuova Buffy Summers. Sì, l'ho detto. La serie Warrior Nun nel complesso invece non riesce ancora a raggiungere i livelli di Buffy l'ammazzavampiri, complici anche gli episodi finali in cui la parte fantasy prende il sopravvento su quella umoristica. Però anche la prima stagione di Buffy l'ammazzavampiri presentava ampi margini di miglioramento, che poi si sono verificati, e quindi pure Warrior Nun, nel caso di una conferma, con la seconda stagione potrebbe pure migliorare. Che già così, comunque, è un bel guilty pleasure.


Se Ava è la nuova Buffy, fisicamente l'attrice che la interpreta è un incrocio tra Natalie Portman e Alicia Vikander. In pratica è la donna perfetta. Segnatevi il suo nome, Alba Baptista, attrice portoghese più che splendida e più che talentuosa di cui, seconda stagione di Warrior Nun o meno, credo sentiremo parlare ancora parecchio.

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Mirando a @sergiolar10 y al 🌊

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E Dark?
Visto che io sono ancora fermo alla prima stagione, per parlare della popolare e discussa serie tedesca cedo la parola al collega, amico e ogni tanto guest star di questa rubrica Federico Vascotto.

L'opinione di Federico Vascotto
Dark
"La pandemia? Già sapevo."

Dark, serie originale Netflix tedesca in tre stagioni (come da piani iniziali, conclusasi il 27 giugno) creata da Baran bo Odar e Jantje Friese, ha dimostrato come anche l’Europa può portare prodotti validi e soprattutto di respiro internazionale sulla piattaforma.
Ambientata nella fittizia e misteriosa cittadina di Winden, degna erede di Twin Peaks per i segreti e i rapporti familiari complicati tra i suoi abitanti, tutto parte dalla scomparsa di due bambini che riporta alla mente un vecchio caso simile di 33 anni prima. C’è anche un misterioso suicidio e qualcosa che sembra dovrebbe succedere esattamente 33 anni dopo.
La cosa che più sorprende della serie tv è l’incrocio incredibilmente riuscito fra l’elemento fantascientifico dei salti temporali e l’elemento soap delle parentele fra i vari protagonisti, che via via diventano sempre più fitte e complicate a seguito dei tanti colpi di scena.

Con la terza ed ultima stagione la serie compie un altro piccolo miracolo poiché, aggiungendo nel finale della seconda l’elemento degli universi paralleli (motivati) accanto a quello degli spostamenti temporali, non si è incartata nei suoi stessi viaggi ma anzi è rimasta coerente fino alla fine, con un finale potremmo dire praticamente perfetto. Una serie meravigliosamente corale, nonostante l’incentrarsi via via che gli episodi procedono su Jonas e Marta.
E proprio la terza stagione chiude il cerchio e risponde a molte domande lasciate in sospeso, facendo esclamare durante la visione spesso “Ah ecco quando quello ha detto quella cosa a quell’altro”. Dark è praticamente un bellissimo mal di testa seriale, di cui non vogliamo la cura.

L’unica pecca, se vogliamo, è che abbia avuto vita breve e non sia riuscita a diventare quel fenomeno mondiale che avrebbe meritato. Ma nel suo piccolo lo è comunque stata e si è costruita una propria identità ben riconoscibile, e di questo possiamo essere felici. “La fine è il principio, il principio è la fine. Noi siamo perfetti insieme, non credere mai il contrario.”





La musica estiva ma non troppo di luglio 2020

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L'estate è la stagione dei tormentoni estivi. Si chiamerebbero mica tormentoni estivi, altrimenti.
Di quelli comunque qui su Pensieri Cannibali se ne parlerà a breve, con un post a parte. Nella rubrica musicale mensile di questo luglio c'è invece spazio per altro. Anche per musica non così tormentosa e non così estiva.


Flop del mese

#4 Katy Perry

Cos'è successo a Katy Perry? O meglio dovremmo chiederci: dove se n'è andato l'abbonamento al successo di Katy Perry? Glielo hanno rubato?
Sì, certo. Di lei si parla sempre: per la sua storia con Orlando Bloom, per la sua gravidanza, o perché Jennifer Aniston farà da madrina alla sua futura figlia. Quella che però un tempo era un'autentica sforna hit, adesso non riesce più ad azzeccare una canzone pop come si deve. Anche con la nuova "Smile", più mediocre che brutta, non c'è poi così tanto da ridere.



#3 The Kolors

Ottima la nuova canzone in stile Disco anni '70 dei The Kolors.
Non è vero.




#2 Jasmine Carrisi

Jasmine Carrisi debutta nel mondo della musica e non lo fa perché è una figlia d'arte, no no no.
E' solo perché ha del vero talento, sì sì sì.
La buona notizia è che la sua canzone d'esordio non ha niente a che fare con la musica dei genitori e la sua voce non è fastidiosa come quella del padre.
Le notizie meno buone sono che non ci va molto per fare meglio dei genitori e che il suo "Ego"è un brano di musica trap così generico e anonimo che potrebbe essere stato generato da un computer e non si sentirebbe la differenza.
Che forse sia stato davvero generato da un computer, e pure di quelli fallati?
E chissà che urla di rabbia pianta Al Bano quando sente questa canzone che non mi sembra proprio nelle sue corde?



#1 Andrea Bocelli

Andrea Bocelli ha dimostrato che quando parla è ancora più fastidioso di quando canta. E ce ne voleva.



Top del mese

#11 Kanye West

Kanye West si candida alla presidenza degli Stati Uniti?
Sì, insomma, forse.

Kanye West sta per pubblicare un nuovo album?
Sì, insomma, forse.

La cosa bella con Kanye West è che non sai davvero mai cosa possa riservare. Un giorno può dire messa in Chiesa come pastore e quello seguente può fare il giuramento da presidente degli Usa. Chissà?
L'unica cosa certa  al momento è che è ancora meglio come artista musicale che come politico delirante e il nuovo pezzo "Wash Us in the Blood" lascia sperare bene per il suo futuro. Lontano dalla politica, che già un Donald Trump solo basta e avanza.



#10 Levante

La sua nuova "Sirene"è un perfetto pezzo post-lockdown. Levante conferma così ancora una volta di non sbagliare un colpo. E che le vuoi dire a questa sirena qua?



#9 Baby Queen

Chi è Baby Queen?
Non lo so, non ne ho davvero idea. So solo che mi sono imbattuto in un suo pezzo per caso su Spotify, "Buzzkill", e mi ha conquistato. Credo, o almeno spero, che sentiremo ancora parlare di lei.



#8 Marilyn Manson

In un anno come questo, l'apparizione di Marilyn Manson sembra quasi angelica. Più o meno.
Il Reverendo sta tornando. L'11 settembre esce il suo nuovo album "We Are Chaos", appena anticipato da un singolo meno aggressivo rispetto ai pezzi di lancio di molti suoi precedenti lavori. Una ballata alla Bowie dark perfetta per i tempi che stiamo vivendo e per quest'estate anomala e caotica. A un primo ascolto, per me è un sì. Un hell yes.




#7 Rolling Stones

Durante la quarantena Mick Jagger e compagni, non sapendo proprio cosa fare, hanno deciso di andare a scavare nei loro archivi e dentro c'hanno trovato delle cose niente male. Non per fare il passatista a tutti i costi, cosa che non sono assolutamente, ma in effetti chi dice che non si fa più la musica de 'na vorta non c'ha nemmeno tutti i torti. La dimostrazione arriva da "Criss Cross" e soprattutto da "Scarlet" (con la partecipazione di Jimmy Page dei Led Zeppelin e di un altro tizio di cui non ricordo il nome), due "scarti" degli anni '70 che suonano meglio di molta musica contemporanea.


 


#6 The National Honor Society

Rimanendo in tema di revival, ecco i The National Honor Society, un gruppo di musica britannicissima che propone un album d'esordio, intitolato To All the Glory We Never Had, con una copertina che sembra rubata dalla discografia degli Smiths, o dei Belle and Sebastian.


Le sonorità invece ricordano più gli Oasis e i Travis. Per i nostalgici del pre-Britpop, del Britpop e del post-Britpop, una goduria.



#5 Travis

E a proposito di Travis, rieccoli! Il gruppo scozzese che ci ha regalato quelli che possiamo ormai considerare dei classici come Why Does It Always Rain on Me? e Sing si accinge a pubblicare, sebbene molto più in sordina rispetto a un tempo, il suo nuovo album, in uscita a ottobre e intitolato 10 Songs. E se tutt'e 10 sono al livello di "Valentine", che recupera le radici rock del loro album di debutto Good Feeling, c'è di che essere felici.



#4 Nothing But Thieves

Sembrano un po' i Killers e un po' i Muse e invece non sono nient'altro che ladri: Nothing But Thieves. Non il massimo dell'originalità, ma chi è a caccia della canzone rock dell'anno può smettere di cercarla: la loro Real Love Song è davvero un banger, come dicono in Gran Bretagna, o un pezzone, come diciamo dalle nostre parti.



#3 Lianne La Havas

Segnatevi il suo nome, benché non semplicissimo, perché questa diventerà grande. Lianne Le Havas ha la stoffa delle grandi. Un po' Alicia Keys, un po' Amy Winehouse, un po' Adele, ma con una voce tutta sua. Ha coverizzato "Weird Fishes" dei Radiohead senza sfigurare e coverizzare i Radiohead senza sfigurare non è cosa da tutti. Ti fischiano per caso le orecchie, Vasco?
In più "Can't Fight" ha le carte in regola per fare bene in radio, "Please Don't Make Me Cry" se esce come singolo rischia di farla esplodere definitivamente, e nel complesso il suo nuovo album che si chiama come lei è l'ascolto pop-soul ideale per il relax estivo.



#2 Billie Eilish

La nuova freschissima canzone di Billie Eilish "my future", uscita proprio oggi, mi ha fatto tornare in mente Amy Winehouse. Cosa volere di più?



#1 Taylor Swift

E se Taylor Swift fosse una delle più grandi cantautrici della nostra epoca?
Il dubbio m'era già venuto da qualche anno e adesso si è trasformato in certezza. Con la "scusa" del lockdown, Taylor ha potuto lasciare perdere tutta la parte promozionale di marketing legata all'immagine e concentrarsi unicamente sulla musica. La Swift ha rilasciato il suo nuovo album "Folklore" a sorpresa, annunciandolo poche ore prima del suo arrivo su Spotify e su tutte le piattaforme online, nella notte del 24 luglio. Fregandosene di pubblicare in piena estate un disco clamorosamente autunnale. "Folklore"è il suo lavoro più genuino, vero, intimo, in cui le sue canzoni, prive delle solite mega-produzioni pop, appaiono più nude e più belle che mai.




Guilty Pleasure del mese
Achille Lauro

Più che un cantante o un rapper nel senso tradizionale del termine, Achille Lauro è un viaggiatore nel tempo. Dopo gli anni '60 di "Bam Bam Twist", è ora tempo di muoversi con la sua DeLorean negli anni '90, quelli più dance, quelli più tamarri. Il suo nuovo progetto musicale, estetico e artistico "1990" non sarà il meglio che ha fatto, ma è un divertissement perfetto per tornare nel passato, con le orecchie e con la mente. Unico appunto: in tutta 'sta tamarreide anni '90, neanche un misero omaggio a Gigi D'Agostino? Sul serio?



Cotta del mese
Halsey

Non so cosa le danno da mangiare, ma a ogni video, a ogni cambio di colore dei capelli, Halsey diventa sempre più bella. E anche più brava, eh. Però soprattutto più bella. Non so cosa le danno da mangiare, ma spero continuino a darglielo.



Video del mese
J Balvin, Dua Lipa, Bad Bunny, Tainy "Un Dìa (One Day)"

La canzone è una latinata in tipico stile J Balvin, resa però più "commestibile" ai palati poco affini al reggaeton come il mio dalla presenza sempre gradita di Dua Lipa. E finisce per essere un pezzo sorprendentemente fico. "Un Dìa (One Day)" si segnala però soprattutto per il suo video, in cui compare in tutto il suo splendore e in tutto il suo lockdown Úrsula Corberó, l'interprete della tanto odiata Tokyo ne La casa di carta. Che poi perché sia così odiata non me lo so spiegare io e mi dissocio del tutto.



Movie Soundtrack
Eurovision Song Contest - La saga storia dei Fire Saga

Un pregio non da poco di un film come Eurovision Song Contest - La storia dei Fire Sagaè la cura con cui hanno curato la parte musicale. E' una commedia demenziale con una manciata di canzoni che sembrano una parodia e allo stesso tempo un omaggio alla storia di quella trashata che è l'Eurovision Song Contest. Però quando vuole riesce anche a farsi una pellicola seria, o quasi, e a regalarci una canzone da brividi, e magari pure da nomination agli Oscar. Husavik, interpretata da Will Ferrell con la cantante svedese My Marianne (nel film e nel video rimpiazzata da Rachel McAdams), ce la farà a conquistare la statuetta?





C'era una volta un re, ma non Il re leone, bensì Il re di Staten Island

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Il re di Staten Island
Titolo originale: The King of Staten Island
Regia: Judd Apatow
Cast: Pete Davidson, Bel Powley, Marisa Tomei, Bill Murr, Maude Apatow, Moises Arias, Lou Wilson, Ricky Velez, Steve Buscemi, Machine Gun Kelly


C'era una volta un re. Un re di Staten Island seduto sul sofà, che disse ai suoi amici fattoni che se ne stavano lì sul sofà a fare un cazzo tutto il giorno insieme a lui: “Raccontatemi una storia”. La storia incominciò.


C'era una volta un ragazzo. Un ragazzo di Staten Island, che magari non lo sapete, visto che come lui non avete mai finito le superiori o semplicemente per vostra ignoranza personale, è uno dei cinque distretti che compongono New York City. A dire la verità non lo sapevo neanch'io e ho dovuto googlarlo. Comunque c'era un ragazzo che come me amava Jay-Z e il Wu-Tang Clan e viveva a Staten Island, ve l'ho già detto, prima con la madre e con la sorella e poi solo con la madre, la MILF Marisa Tomei.


No, non è che la sorella muore. Va solo al college. È suo padre che è morto, anni prima, quando lui era un bambino di 7 anni. Suo padre era un pompiere ed è morto quando lui aveva 7 anni per fare l'eroe. L'eroe per gli altri, mentre per lui è un padre che non rivedrà mai più. Adesso non voglio farvi piangere, perché questa è una storia soprattutto da ridere. Immaginate un film coming of age indie, di quelli tipo Ladybird, solo con un protagonista tipo Adam Sandler o Andy Samberg, che sembrano la stessa persona, in un film tanto scemo quanto divertente intitolato Indovina perché ti odio sono anche stati padre e figlio, ma nella realtà non sono parenti. Questo ragazzo di Staten Island ha uno stile comico demente volevo dire demenziale simile al loro, però non è una loro copia, ha una comicità e una personalità del tutto personali.


Questo ragazzo di cui parlo sembra un fattone. Forse perché è un fattone. Ed è pure tutto tatuato. Forse perché è un tattoo artist, o aspirante tale. Il suo sogno è quello di aprire un tattoo restaurant.


Cazzo ridete? È un'idea seria. Ti tatui e mangi allo stesso tempo. Insomma, io non ho tatuaggi, ma, se fossi un patito di tatuaggi, mentre me ne stanno facendo uno mangiare sarebbe un buon modo per passare il tempo e cercare di non pensare al dolore e distrarmi. Quindi non dico che l'idea di un tattoo restaurant sia geniale. Dico che è stramegageniale.


Con questo look da ragazzo che non presenteresti mai ai genitori a meno che non sei Chiara Ferragni, questo ragazzo di Staten Island sembra Fedez dentro un film di Judd Apatow. Infatti la storia che vi sto raccontando è diretta proprio da Judd Apatow, quello di successi come Molto incinta, 40 anni vergine e Un disastro di ragazza, ma anche dei sottovalutati Funny People e Questi sono i 40.

"Tu ti chiami Maude Apatow. Sarai mica stata ingaggiata perché sei la figlia del regista?"
"Sì, sono la figlia del regista, ma mi ha preso perché sono una brava attrice.
Sono anche nel cast della serie Euphoria. E poi tu che cazzo vuoi che sembri Fedez?"

A qualcuno questo ragazzo di Staten Island potrà sembrare solo un fattone buono a nulla che non combinerà mai niente. A me sembra invece uno che ha della creatività e delle idee. Ha anche una testa imprenditoriale. Ok, soffre di disturbo da deficit dell'attenzione, questo non ve lo avevo ancora detto. Secondo me comunque un giorno farà grandi cose. Diventerà famoso. Sarà uno dei comici del Saturday Night Live. Si farà tipe come Ariana Grande, o Kate Beckinsale, o Margaret Qualley, o Kaia Gerber. E forse qualcuno si chiederà cosa ci fanno queste tipe tutte belline e a modo con un faccia da tossico come lui che sembra arrivare dal Bronx più che da Staten Island. Solo che un libro non va giudicato dalla copertina. Dietro a quel volto scavato dalle droghe ci può essere una persona incredibilmente spiritosa e irritante al tempo stesso, con un umorismo caustico e fuori controllo che non risparmia nemmeno battute sul padre morto. E poi, proprio quando pensate che sia solo un fratellino minore di Beavis & Butt-head di nuova generazione, vi spiazza tirando fuori dei momenti più riflessivi e allora non riuscite più a inquadrarlo e realizzate che forse tutte queste tipe famose non staranno con lui solo per le sue grandi doti in mezzo alle gambe, come raccontano le leggende su di lui messe in giro dalla stessa Ariana Grande, ma perché oltre a un pene grosso c'è di più.


C'era una volta un ragazzo. Un ragazzo di Staten Island che aveva perso il padre quando era un bambino e da allora non si è più ripreso. È diventato un creep, un weirdo. E poi ha fatto un film semi-autobiografico, l'ha scritto insieme a Judd Apatow e a un certo Dave Sirus e l'ha interpretato senza paura di mettersi a nudo. Non letteralmente. Nel film non viene svelato se le illazioni sulle dimensioni del suo pene sono vere o sono solo una urban legend. Mette a nudo la sua anima, le sue stramberie, i suoi difetti, con un'autoironia che non è da tutti. Quel ragazzo si chiama Pete Davidson e se lo incontrate per strada o cambiate lato del marciapiede, o vi avvicinate a lui chiedendogli se ha da fumare e sicuramente ce l'ha. Se invece lo incontrate al cinema, o da qualche parte in streaming, o dove cazzo si vedono i film al giorno d'oggi, vi consiglio di sentire la sua storia. Si chiama The King of Staten Island e fa più o meno così.

C'era una volta un re. Un re di Staten Island seduto sul sofà, che disse alla sua mamma che se ne stava lì sul sofà a guardare Game of Thrones insieme a lui: “Raccontami una storia”. La storia incominciò.

(voto 7,5/10)




Tormentoni estate 2020: quelli più fastidosi e quelli che non so perché riesco ancora a sopportare

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Pensavate che con la pandemia e con il lockdown quest'anno cantanti e band avrebbero avuto pietà di noi e ci avrebbero risparmiato i loro soliti tormentosi tormentoni?
E invece no!
Avendo dovuto rinunciare ai grandi tour e avendo dovuto limitare molto concerti ed esibizioni, si sono semmai dovuti sforzare ancora di più per tirare su qualche quattrino. Non vorrei dire, ma dall'insieme di tali fattori i tormentoni di quest'anno mi sembrano semmai persino aumentati. Cosa non particolarmente positiva.

Qualcosa che si salva comunque c'è, almeno secondo il mio più che mai discutibile giudizio.
Ecco i tormentoni che sto patendo di più e quelli che tutto sommato reggo ancora bene.

ATTENZIONE: TRASH ALERT!

I peggiori tormentoni dell'estate 2020

#13 Luca Carboni "La canzone dell'estate"
 
Luca Carboni si è autoplagiato, ha rifatto "Luca lo stesso" con un ritmo più sculeggiante e con un testo che fa "La canzone dell'estate, che mi dici che non ti piace". E niente, caro Luca, che non mi piace lo sapevi già da te, e quindi che cosa l'hai scritta a fare?
 
 


#12 Diodato "Un'altra estate"
 
Ci mancava solo il tormentone riflessivo e malinconico dell'artista italiano più sopravvalutato dell'anno, che ha già vinto Sanremo, David di Donatello e Nastro d'argento. Di questo passo la Champions la conquista prima lui della Juve. Il titolo di tormentone dell'estate, almeno quello, però no.
 
 


#11 Shade "Autostop"
 
Fare l'autostop è pericoloso.
Ascoltare "Autostop" di Shade ancora di più.
 
 


#10 Rocco Hunt ft. Ana Mena "A un passo dalla Luna"
 
Io mi chiedo: ma Ana Mena d'inverno che cosa combina?
Pensa a quale tamarro chiamare per rovinarci l'estate successiva?
 
 


#9 Fred De Palma feat. Anitta "Paloma"
 
Fred De Palma (che con Brian De Palma credo o almeno spero non abbia niente a che vedere) quest'anno ha "tradito" la spagnola Ana Mena con la brasiliana Anitta.
Peccato che nessuno si sia accorto della differenza. Nemmeno le dirette interessate.
 
 


#8 Fedez, Robert Miles "Bimbi per strada (Children)"
 
C'è una cosa peggiore del modo in cui Fedez, che pure mi sta simpatico e che durante la pandemia si è distinto in positivo, ha massacrato la storica "Children" del compianto Robert Miles?
Sì, il video di questa canzone.
 
 


#7 Irama "Mediterranea"
 
Irama in versione invernale fa canzoni un po' lagnose, ma non mi infastidisce troppo.
Irama in versione estiva invece nun se pò sentì.
 
 


#6 Tiziano Ferro, Jovanotti "Balla per me"
 
Ci volevano due "giganti" della musica italiana per tirare fuori questa scorreggina?
Hey, fermi tutti: che forse non siano due giganti della musica italiana?
 
 


#5 Bobo Vieri, Nicola Ventola, Lele Adani "Una vita da bomber"
 
Più che Una vita da bomber, a me suona tanto come un autogol.
 
 


#4 Black Eyed Peas, Ozuna, J. Rey Soul "Mamacita"
 
Scusate lo spagnolo, ma esta canción es una montaña de mierda.
E pensare che io un tempo ai Black Eyes Peas volevo anche discretamente bene. Fino a che c'era Fergie, se non altro.
 
 


#3 Francesco Gabbani "Il sudore ci appiccica"
 
"Picchia picchia".
Ok, Francesco Gabbani, penso che seguirò il tuo consiglio alla lettera. Ascoltando la tua canzone m'è venuta un'improvvisa voglia di menare le mani.
 
 


#2 J-Ax "Una voglia assurda"
 
J-Ax del 2020 ha stufato persino più del J-Ax del 2019 che già aveva stufato più del J-Ax del 2018 che già aveva stufato...
 
 


#1 Boombabash, Alessandra Amoroso "Karaoke"
 
Esiste qualcuno che ha davvero voglia di ballare un reggae in spiaggia?
E soprattutto, esiste qualcuno che considera gradevole la voce di Alessandra Amoroso?
 
 
 


I meno peggio tormentoni dell'estate 2020

#13 Jason Derulo  & Jawsh 685 "Savage Love"
 
Le canzoni belle sono un'altra cosa, ma tutto sommato questa orecchiabile e ruffianissima "Savage Love" si fa sentire.
 
 


#12 Gaia "Chega"
 
Il problema della canzone di Gaia, vincitrice dell'edizione di quest'anno di Amici della Maria, è quello di essere uscita troppo in anticipo ed essere arrivata alla stagione estiva un po' sboffata. Resta comunque un guilty pleasure di tutto rispetto, soprattutto in questa versione.

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DOPO “NON C’È COVIDDI” ANCHE CANTANTE ✈️

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#11 Topic, A7S "Breaking Me"
 
La tamarrata dance di quest'estate. Nemmeno troppo tamarra, dai.
 
 


#10 Il Pagante "Portofino"
 
I Vanzina della musica anche quest'anno non si smentiscono. "Portofino"è una trashata da bauscia così assurda da fare il giro e diventare quasi irresistibile. Ho detto quasi.
 
 


#9 Valeria Marini "Boom"
 
Valeriona Nazionale si ferma giusto a un passo dal capolavoro.
 
 


#8 Elettra Lamborghini e Giusy Ferreri "La isla"
 
Pro
- Elettra, Elettra Lamborghini
- Non me ne vengono in mente altri

Contro
- E' una latinata pazzesca
- La voce di Giusy Ferreri

Vincono i pro

 


#7 Takagi & Ketra, Elodie, Mariah ft. Gipsy Kings, Nicolás Reyes, Tonino Baliardo "Ciclone"

Faccio una confessione: non ho mai visto il film Il ciclone. Mi rendo conto che non è come non aver mai visto Quarto potere o 2001: Odissea nello spazio, però per un amante come me delle trashate e dei film che, nel bene o nel male, hanno segnato la pop culture è una lacuna di un certo livello. In compenso, posso utilizzare come bignamino il video della canzone estiva di Takagi & Ketra e continuare tranquillamente a non guardarlo.

 


#6 Elodie "Guaranà"

Quest'anno Elodie ha fatto doppietta. E' più bomber lei di Bobo Vieri.

 


#5 DRD ft. Ghali, Madame, Marracash "Defuera"

Il produttore Dardust ci regala il tormentone d'hip-hop italiano perfetto per l'estate.

 


#4 Margherita Vicario ft. Izi "Piña Colada"

Margherita Vicario non è solo una cantante, ma è anche un'attrice. E' comparsa persino in un film di Woody Allen, e poco importa che sia il peggiore della sua carriera, To Rome with Love. Adesso Margherita ci consegna pure la hit neorelista dell'estate 2020.

 


#3 Master KG feat. Nomcebo "Jerusalema"

Sono sicuro che questa "Jerusalema" la trasmetteranno così tante volte che finiranno per farmela odiare, come ogni buon tormentone che si rispetti. Se non se ne abusa, però, devo dire che è una canzone con il suo fascino.

 


#2 Achille Lauro "Bam Bam Twist"

Un pezzo dedicato a Pulp Fiction e al twist anni '60. Più che un tormentone di oggi, sembra un tormentone di ieri rimasto chiuso nei cassetti dei tormentoni per decenni.

 


#1 Baby K special guest Chiara Ferragni "Non mi basta più"

"Questo è il pezzo mio preferito".
Non nell'intera Storia della Musica mondiale, lo dico per rassicurarvi, ma solo tra i tormentoni dell'estate 2020.
Non vi rassicura lo stesso?

 




Recensione della giovane in fiamme

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Ritratto della giovane in fiamme
Titolo originale: Portrait de la jeune fille en feu
Regia: Céline Sciamma
Cast: Noémie Merlant, Adèle Haenel, Valeria Golino, Luàna Bajrami


Come immaginavo il film dopo aver letto il titolo
 
 


Come immaginavo il film dopo aver saputo che raccontava la storia tra due donne
 

Come immaginavo il film dopo aver saputo che non era un porno


Ho detto dopo aver saputo che NON era un porno!

Siamo sicuri che questo non sia un porno?



Come sarebbe stato il film se l'avessi scritto io

Com'è il film in realtà

 Ma è un film in francese!

(voto 9/10) 

 

 

 

Fantasy Island: il film estivo di cui non sapevi di aver bisogno, forse perché non ne avevi bisogno

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Fantasy Island
Regia: Jeff Wadlow
Cast: Lucy Hale, Maggie Q, Ryan Hansen, Jimmy O. Yang, Austin Stowell, Portia Doubleday, Michael Peña, Mike Vogel, Michael Rooker, Charlotte McKinney, Kim Coates

Ricordate la serie anni '80 Fantasilandia?


Bene, bravi. Volete un applauso. Eccovi l'applauso.


Io invece non me la ricordo. Negli anni '80 guardavo gli anime giapponesi stile Holly & Benji e poco altro. Non so quindi se mi sono perso un capolavoro del piccolo schermo, sebbene ne dubiti fortemente. Se anche ve la ricordate, dimenticatela, visto che questa è tutta un'altra storia. Il film Fantasy Island è infatti una versione horror della serie. Anche se qualcuno a fine visione si chiederà: “Perché questo era un horror?

Lo spunto del film è decisamente intigante. Decisamente?
Va beh, diciamo leggermente intrigante. Gli ospiti della Fantasy Island possono realizzare una loro fantasia. Nomen omen. Si chiama Fantasilandia mica a caso. Essendo un horror, si può immaginare che non tutto in queste fantasie andrà per il verso giusto. Come dice un celebre aforisma, attribuito a Oscar Wilde, “Attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo”.


Il proprietario del resort che realizza questa fantastiche fantasie è Michael Peña in versione Maria de Filippi: “Dietro a questa busta c'è la tua fantasia”. E se la vostra fantasia è quella di essere ospiti a C'è posta per te per realizzare la vostra fantasia, che razza di fantasia malata avete?


La mia fantasia, decisamente malata pure quella, riguarda Lucy Hale.


No, non è quello che pensate, sporcaccioni. La mia fantasia è vedere una serie TV con Lucy Hale che non venga subito rimossa dai palinsesti. Pretty Little Liars a parte, tutto ciò che fa fa flop. A inizio carriera ha partecipato a Bionic Woman, serie subito cancellata.

"Facciamo un selfie insieme, Salvini style."

Quindi è stata una delle protagoniste di Privileged, che era un guilty pleasure di tutto rispetto, e non si sa perché hanno cancellato dalla faccia della Terra pure quella.

"Mi vestivo già alla grande."

Dopo Pretty Little Liars è stata la protagonista di Life Sentence, deliziosa serie su una ragazza malata di cancro, e anche quella non è andata oltre la prima stagione.

"Pronto? Sì, serie dopo serie il mio gusto nel vestire migliora."

Di recente ha fatto Katy Keene, spin-off di Riverdale, e indovinate un po'?
Cancellata anche quella. In questo caso giustamente, va detto.

"Qui ho raggiunto il top come fashion icon. Sono fiera di me."

Visto che in TV le cose non le vanno troppo bene, adesso Lucy Hale ci riprova con il cinema horror. Dopo il discreto Obbligo o verità di Jeff Wadlow è il turno appunto di Fantasy Island, nuovamente diretta da Jeff Wadlow. Che tra i due ci sia del tenero? Oppure è solo la sua platonica musa? Ma soprattutto, ce ne frega qualcosa?


In questo caso Lucy Hale è stata un po' più fortunata. Fantasy Island è stato massacrato dalla critica, che si è accanita nei confronti del film persino al di là dei suoi reali demeriti. E' un horrorino estivo divertente e leggero, a tratti un po' scemo ma nemmeno troppo, e il finale è un po' una cazzata, però si fa guardare volentieri e in un paio di momenti fa persino ridere di gusto. Funziona più sul versante comedy che non su quello della paura, certo, ma se volete dei brividi veri vi consiglio di seguire una diretta dalla Camera dei Deputati.


Se la critica non l'ha amato per niente, le cose sono andate meglio con il pubblico. Fantasy Island ha avuto la fortuna di uscire prima del lockdown e di riuscire a incassare nel mondo 47 milioni di dollari. Cifra che fino a qualche mese fa non sarebbe risultata particolarmente entusiasmante, ma oggi buttala via. Non ho capito perché hanno fatto uscire in pieno inverno film estivi come questo o come Odio l'estate con Aldo, Giovanni e Giacomo, però con il senno di poi si è rivelata una mossa molto azzeccata. Che avessero già previsto la pandemia?


Per una volta quindi a Lucy Hale è ancora andata bene. In questo film poi le hanno anche dato uno dei ruoli più fighi della sua carriera, costellata da parti in cui in genere è simpatica quanto una piattola.

"E per una volta sono anche vestita come una persona normale."

Molto telefilmico anche il resto del cast, che propone nomi come Maggie Q di Nikita, Stalker e Designated Survivor...

"Mi hanno detto di vestirmi in maniera più assurda di Lucy Hale. Spero di avervi accontentato."

...Portia Doubleday di Mr. Robot...

"Ma su che isola sono finita? Qui c'è gente più assurda che in Temptation Island."

...Ryan Hansen di Veronica Mars nel ruolo dell'eterno cazzaro superficiale da cui non si è mai discostato di una virgola per tutta la sua carriera...

"Lucy Hale, sei solo una dilettante al nostro confronto."

...e Kim Coates di Sons of Anarchy.


Se la vostra fantasia è quella di passare un paio d'orette disimpegnate e rinfrescanti, Fantasy Island è la visione che fa per voi. Se invece la vostra fantasia è quella di guardare un oscuro capolavoro filosofico in grado di farvi riflettere e magari cambiarvi la vita, mi sa che avete sbagliato film, isola e pure sito.
(voto 6/10)



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